Non ci sono più i rattusi di una volta


Dicembre è il mese più bello sui nostri monti.  Se arriva la tramontana a spazzare via nebbie e maccaia i panorami sono da urlo. Armetta, Galero, Carmo del Finale, Beigua, Punta Martin e Figne diventano incredibili belvedere.  Lo sguardo spazia dal Bernina alla Corsica. I colori incantano e rendono splendide le praterie di queste montagne che sono a tutti gli effetti Alpi, ma coi piedi nel mare.

La gita dicembrina in zona Beigua per me è un rito. Quest’anno ci pensa Lusciandro a proporre un percorso un po’ diverso dal solito. Punto di partenza e di arrivo dell’anello è ovviamente l’albergo del Faiallo, tana dell’omonimo rattuso.

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E qui occorre aprire un inciso storico-etnografico:

Per rattuso, nell'appenninismo ligure, si intende il gerente o tenutario di rifugi, bar, osterie, trattorie avente i seguenti requisiti:
-  Propensione scarsa o inesistente all’igiene personale;
-  Alcolismo recrudescente;
-  Ratta ovverosia appetito sessuale frustrato che si sfoga in atteggiamenti e sguardi lascivi nei confronti della clientela femminile di giovane età.

Le caratteristiche standard del locale gestito dal rattuso sono:
- Condizioni igienico sanitarie identiche a quelle personali del rattuso;
- Banco bar anni ‘50, stufa a legna, puzza di fumo, condensa, superalcolici di marche sconosciute o illeggibili, macchina del caffè a pompa manuale, lavandino con acqua saponata stagnante
- Bevande servite, esclusivamente: caffè appena tiepido, vino rosso gelido con condensa sul bottigione, birra calda. 
- Cibo:  disponibili solo croissant superalcolici alla diossina prodotti dalla IPLOM di Busalla.
- Avventori: professionisti locali pecializzati in quartini, briscola e imprecazioni ed utilizzo esclusivo - Lingue straniere: utilizzo esclusivo della lingua genovese stretto nella sua variante locale con frasi sconnesse da pronunciarsi a voce altissima e bocca impastata

Il rattuso e il suo locale sono il presepe vivente dell’antropologia appenninica. In ogni valle che si rispetti ci sono da sempre almeno un paio di rattusi lì ad aspettarvi. Perché il locale del rattuso è il posto giusto in cui finire una gita.

Tra i massimi esponenti di questa gloriosa dinastia c’era ovviamente il rattuso del Faiallo, proprietario del bar ristorante albergo che si trova all’omonimo passo.
Occasione standard in cui fruire dell’ameno resort:  gita invernale con tramontana tesa dal Faiallo a Pra Riundo e ritorno, temperatura -7  ulteriormente rinfrescata dal windchill. Bottiglia di dolcetto e ravioli a Prà Riundo, semiassideramento lungo il ritorno, verglas nella discesa dal Reixa al Faiallo, impellente bisogno di cicchetto resuscitatore prima di salire in macchina.
Caratteristiche del locale: apertura solo on demand (nel senso che dietro il banco non c’era mai nessuno, se proprio volevi bere a tutti i costi il rattuso te lo dovevi andare a stanare a tuo rischio e pericolo dietro la porta “privato”), temperatura interna comunque inferiore a quella esterna per totale assenza di riscaldamento, tavolini in formica anni ’50, area esterna Recco-like (discarica di rumenta e ingombranti a cielo aperto).
Come si dice, insomma, prestazioni ai vertici della categoria. In ogni caso, dopo una sventagliata di tramontana a dicembre, un felicissimo approdo per un corroborante bombardino.

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Dunque, veniamo alla nostra gita. Il dream team oltre a me e Lusciandro vede anche la presenza dei due Aldo. Alle 8.30 siamo al Faiallo. Temperatura clamorosamente soprazero (+ 5,5° C). Completate procedure di sbarco e vestizioni varie, ci mettiamo alla via. 
Aggirato il Reixa,  scendiamo al Passo della Gava e di lì andiamo a incrociare il sentiero “A” Un traverso a mezzacosta e una risalita ci portano prima  alla Collettassa, poi al ricovero Fasciun e al rifugio Argentea.  Cascate e forre si alternano con tratti un po’ più noiosi nella boscaglia. Dalla Collettassa, comunque,  il panorama si apre splendido e ci accompagna per tutto il tratto di Alta Via sino a sotto il Reixa.




L’altopiano tra Pra Riundo e Reixa è uno dei luoghi magici del nostro Appennino. Si cammina in spazi aperti, sospesi tra cielo e mare.  Lì c’è tutto quello che amo della montagna.

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Scendendo verso il Faiallo, con la sete cominciano, angosciosi, gli interrogativi sulla sorte del rattuso e sull’attuale apertura dell’osteria, che biancheggia in lontananza. Risaliamo la rampetta finale, e voilà: nel posteggio c’è pieno di macchine con un mucchio di persone vestite un po’ troppo bene per un’autentica e ruspante osteria appenninica. L’ingresso è spostato, la porta è bella nuova con un’elegante serigrafia. La preoccupazione aumenta.  Sospettiamo che la tana del vecchio rattuso si sia trasformata in un sushi bar per manager con SUV.



Entriamo. Un mobile asfaltato di dolci eccessivamente ricercati divide la zona bar dai tavoli della trattoria, popolati da reduci in fase tardodigestiva. Un caminetto ultramoderno brucia la legna senza fare nemmeno un filo di fumo, e quindi addio puzza.
Sola nota familiare, la presenza di due autentici professionisti seduti al primo tavolo. Camice a scacchi, bicchiere di vino, imprecazioni in rossiglionese stretto, sguardo antiforesto.
L’attenta lettura di vari libri di Messner mi ha insegnato che in alta quota freddo e vento producono una pericolosa disidratazione dell’organismo. Le conseguenze possono essere drammatiche: congelamenti, embolie, stati confusionali, crisi di identità.  Quando questi sintomi si manifestano è troppo tardi per intervenire. Dopo una ben ponderata valutazione di temperature e tramontana di giornata, mi rendo conto che non c’è un attimo da perdere: occorre agire immediatamente per ristabilire l’equilibrio idrico del mio organismo provato. Per fortuna, il rimedio è a portata di mano: dallo scaffale dietro al banco fa capolino un discreto assortimento di birre artigianali.  Il proprietario illustra con eccessiva solerzia i contenuti delle varie bottiglie. La più adeguata alla bisogna è una tripel edizione speciale da 0,75, che attacco con la dovuta determinazione.
Dietro il banco bar, spunta un’inopportuna barista femmina dal bell’aspetto, palesemente moglie o fidanzata del proprietario.  Il peggio, però, deve ancora venire. Paghiamo. Col resto ci viene pateticamente consegnato lo scontrino (aborrito dai pochissimi rattusi della vecchia scuola che ne conoscevano l’esistenza); per di più, mentre usciamo, con scarsissimo senso della propria dignità, il rattuso in erba addirittura ci saluta con falsa cordialità.
Ci guardiamo sconcertati. Niente puzza, niente condensa, moglie dall’aspetto umano, scontrino, saluti… è, remmianamente, la fine del mondo come lo conoscevamo. Un mondo scorbutico, ma vero.

E comunque, non ci sono più i rattusi di una volta.

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