L'ultimo raviolo
Sulle Figne non ero mai
stato. L’occasione capita subito dopo
Natale. Piero propone di andare al Tobbio partendo dalla Bocchetta. Aldo (di
Genova) si unisce alla compagnia. A metà percorso c’è – appunto – il Monte
delle Figne.
La preparazione dello zanino è
fantozziana. Alla prima gita fredda dell’anno,
scopro che gli occhiali da sole sono rimasti sull’Argentea (d’altronde non mi
erano mai piaciuti). Il paio di riserva
probabilmente si è offeso e non vuol saperne di saltar fuori. Intanto, il guanto destro mi guarda solitario
dal ripiano dell’armadio.
Rinuncio agli occhiali da sole. Come
guanti, recupero un paio di moffole di lana grezza che da 20 anni si fanno gli affari loro nell’armadio.
Quanto al mangiare, il convento passa un pezzettino di parmigiano, due
pacchetti di crackers di seconda mano e una tavoletta di cioccolato già
iniziata da qualche roditore domestico.
Al mattino, sbaglio i conti. 20
minuti non bastano, quindi niente colazione. Conto sulla pietà di Piero, che si
dimostra, invece, inflessibile come al solito. Campomorone è piena di splendidi
bar in cui fare colazione. Ne indico alcuni tra i più prestigiosi, ma non
smuovo di un millimetro l’incorruttibile Piero. Saliamo dritti su per la
Bocchetta.
Al colle una transenna conferma
che la strada verso Voltaggio è chiusa causa frana. Siamo più o meno a zero
gradi e soffia una bella tramontana tesa. Tutti i versanti in ombra sono
imbiancati di brina e galaverna. Scopro subito perché le moffole sono rimaste
in armadio per 20 anni. Sono, semplicemente, enormi. Con una manovra
fantozziana riesco ad infilarle dentro le maniche della giacca a vento. A quel
punto le mie mani sembrano quelle di un clown e diventano inutilizzabili.
Rinuncio ad allacciare fibbia e pettorale dello zaino e devo ingegnarmi per
riuscire a tenere in mano i bastoncini.
Lo stomaco brontola. La mente
torna alle tante belle gite nel cuneese. Ripenso con malinconia alle colazioni all’autogrill
di Altare e alla miserabile razione di
cibo che ho nello zaino: concludo che mi aspetta una ben dura giornata in cui
probabilmente collasserò per la fame e subito dopo morirò per freddo ed inedia.
Il percorso passa su una strada
lastricata che arriva a un colletto poco sotto al Monte Leco, conciato più o
meno come il Fasce. Attraversiamo le
pendici S della montagna e iniziamo a scendere verso una prima sella. Usciti
dal ridosso, il vento si fa sentire. Lo spettacolo, però, è eccezionale. I pochi
alberi sono ricoperti dal ghiaccio, i fili d’erba imbiancati di brina. Di
fronte a noi, il mare con i suoi riflessi dorati.
Scendiamo ancora di un centinaio
di metri per arrivare alle pendici del Taccone. Lo aggiriamo, stavolta a Nord.
Poco prima delle pendici delle Figne, un piccolo tratto nuovamente a Sud ci dà
un po’ di respiro.
Intanto valutiamo che la distanza
dal Tobbio è troppa per essere certi di tornare indietro prima del buio.
Rinunciamo ad arrivarci e
decidiamo di salire la vetta delle Figne. Resta da salire l’ampio versante ancora
a N della montagna. Il sentiero è abbastanza ghiacciato, ma non crea problemi.
Dalla vetta, il panorama è magnifico,
grazie anche alla giornata limpidissima. Il vento però non ci permette di
fermarci. Cerchiamo un ridosso qualche metro sotto la cima, ma la situazione
non migliora granché. Mangiamo rapidamente (non che io avessi molte
alternative) e iniziamo la discesa.
Solo alle pendici del Leco
riusciamo a trovare un posto per fermarci un po’. Al sole, senza la tramontana,
non si sta neppure male. Sarebbe anche il momento per uno spuntino, ma manca la
materia prima.
Tornati all’auto, comincio a
pregustare il premio di consolazione: la classica birretta di fine gita. L’inesorabile
Piero, però, non si smentisce. Non sono
previste soste di alcun genere. Come all’andata, cerco disperatamente di
indicare bar, osterie e locande aperte, magnificandone le qualità, ma Piero non
si lascia intenerire.
La mente torna alle tante belle gite
nel cuneese. Ripenso con malinconia alle merende da Agnello, ma mentre sto per
cadere in preda alla più cupa depressione un pensiero mi dà forza. Ci sarà pure
una birretta nel frigo di casa!
Neppure lui, però, mi è amico: un
boccione di coca cola occupa, solitario, il vano bottiglie. Il bar sottocasa è rigorosamente chiuso. Per
cena, vengo avvertito, sono previsti “ravioli in brodo”. E stop.
Gromit, vista la situazione, ha
abbandonato per tempo la barca, optando sin dal giorno prima per un breve
periodo di ferie “dalla nonna” dove probabilmente starà consumando la terza
ciotola giornaliera di carni fresche assortite.
Faccio di necessità virtù e mi
adatto a coca cola e consommé.
Alla fine del fiero pasto l’ultimo
raviolo mi guarda, pensieroso, dalla scodella.
Capisco come si sente, davvero.
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