Nella bratta


Dopo tre mesi si riparte nel nome di Fantozzi.
La gita - dalle Capanne di Carrega all'Alfeo - è una delle più ingannevoli dell'Appennino. Andata e ritorno fanno 17 km, ma non è questo il problema: il dislivello apparentemente innocuo (300 metri o giù di lì) è invece moltiplicato da una serie di saliscendi senza requie. A farseli tutti, si arriva a ben altre cifre.

Partenza alle 7 da Recco con A e M. Gromit è appostato nel bagagliaio in attesa di miglior fortuna. A. ci aspetta a Staglieno. I primi 1400 metri di salita sono superati alla grande. In macchina, ovviamente.
Si sbarca alle Capanne di Carrega dove si annida l'osteria più ligure dell'entroterra. Qualsiasi cosa è finita, non c'è, e non ci sarà.
Installo baldanzoso la batteria nella macchina fotografica. I colori di fine primavera sono una meraviglia. Peccato manchi la scheda SD su cui registrarli. Abbandono al suo destino la Lumix, e mi metto in marcia.

La pista sterrata è un immonda striscia di fango. Prima risalita, discesa ad un primo colletto, poi ancora discesa e risalita verso il Passo della Maddalena. Di lì si sale ancora per superare questa bella spalla, che immortalo con l'iphone.




Alla fine arriviamo in vista della cima. Tutti gli insetti della valle si sono dati appuntamento attorno alle nostre teste; qualche nuvola sospetta comincia a formarsi.
Le gambe e soprattutto il fiato non sono uno spettacolo, quindi concludo sia meglio fermarsi e aspettare chi più velocemente può salire l'ultima rampa di 300 metri e rotti.
Segnalo ai coraggiosi che in vetta le mosche sono miriadi.

La cordata di punta rispetta le consegne e in poco più di un ora ritorna confermando le mie previsioni. Ingurgitiamo un panino. Comincia a gocciolare, ma è roba innocua.

Via telefono, provvede mia suocera, la quale mi avvisa che a Moconesi piove che Dio la manda. Il tempo di attaccare e la sua nuvola personale ci raggiunge. Scopriamo un Vietnam appenninico: il sentiero è una saponetta con al centro un ruscello di fango; intravvediamo cecchini appostati sui faggi, e nei punti più ripidi A. tenta di chiamare l'aviazione.
L'unico impassibile è il temutissimo Gromit, che intanto ha cambiato colore: da golden è diventato muddy e tutti lo tengono a rispettosa distanza.

Soffiando come un mantice supero l'ultima risalita. Esce, giustamente, il sole.
Dati i pressanti impegni familiari rinuncio alla Moretti che comunque l'oste mi rifiuterebbe.

Gromit dà un tocco di classe al fine gita, appostandosi in un prato di erba transgenica alta 80 cm. in cui neppure A. osa avventurarsi. Ogni richiamo, fischio, lusinga è inutile. Siede come una sfinge e rifiuta di salire in macchina.
Alla fine prevale la logica matematica. A. mi suggerisce di partire e lasciarlo lì. Eseguo, e mando in frantumi la supponenza del quattrozampe, che senza alcuna dignità ci insegue sulla provinciale. Con magnanimità carico nel bagagliaio lui e i 45 chili di fango di cui è ricoperto.

Un rientro niente male.

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