Il miglior amico dell'uomo
Questa gita nasce in un modo un po’ particolare.
Nel nostro gruppo di baldi escursionisti, da un po’ di tempo
tirava un’ aria un po’ tesa… qualche
discussione un po’ troppo sopra le righe sulla scelta delle gite, qualche
parola forse non soppesata abbastanza… insomma: non ci capivamo più. In questi
casi, discutere non serve: bisogna mettere gli scarponi e andare insieme in
montagna.
Tutti lo capiamo. E’ una bella occasione per dimostrare
quanto conta per ciascuno il gruppo e tutti sembrano capirlo. Ciascuno rinuncia
a qualcosa, e riusciamo a partire in 9 umani più Gromit alla volta della Cima
Cars. La stagione forse permetterebbe qualcosa di più, ma io ho bisogno di
tornare presto, e avendo scelto di andare nel cuneese per permettere anche a G.
ed A. di esserci, ci vuole una gita
corta.
Prima di partire, prendo accordi con Gromit, incaricandolo di neutralizzare
F. e autorizzandolo a passare, a sua discrezione, alle consuete vie di fatto. Io,
come al solito, mi limiterò a fingere sdegno – ma non muoverò foglia. In cambio, il quattrozampe pretende almeno mezz’ora
di via libera con S. Offro cinque minuti. Raggiunta un’onesta
transazione a mezza via, ci imbarchiamo, soddisfatti, sulla Turbinosa.
Anche questa volta, malgrado le previsioni quasi ottime, il
cielo coperto ci accompagna per tutto il viaggio. Solo nell’ultimo tratto della
Valle Ellero, tra le nubi basse fa capolino l’azzurro.
Cominciamo così a camminare al sole, mentre più in basso la
valle è nascosta da una coltre di nubi.
Naturalmente, tutti i protagonisti
recitano al meglio le rispettive parti. Gli sfortunati passeggeri della
Soundmobile si catapultano giù dalla saltabeccante monovolume con lo stomaco in
mano.
Gromit, dopo qualche distrazione iniziale entra – come da
accordi - in feroce marcatura sulla F.,
che viene (quasi) annullata per il resto della gita.
Il sentiero è abbastanza trascurato, pochi segni e ometti
che un po’ si confondono tra le pietre. La meta, però, è evidente e non c’è
possibilità di sbagliare.
Dopo una prima rampetta arriviamo al bel rifugio Comino; un’altra
salita porta ad un colle, dal quale si vede già il panorama sulle Marittime,
reso più affascinante dalla coltre di nubi che si stende sotto di noi e sino
all’orizzote, dove spunta il Monviso. Saliamo ancora: una prima rampetta ci
porta ad un ripiano, che attraversiamo per entrare in una stretta comba da dove
una diagonale secca sulle pendici erbose della montagna ci porta a spuntare
sulla cresta sommitale, dove una croce sembra segnare la vetta. Non è così, ma
la cima è solo pochi metri più in là.
Arriviamo in vetta presto, sono appena le 11.30 ma nessuno
dubita che sia il momento di pranzare. Gromit, intanto, ci dà dentro da par
suo. La povera F., per la verità, appare
persino compiaciuta. Come da copione, M.
incomincia ad immaginare possibili “rinforzini” al percorso. Dato che non voglio rischiare rientri
antelucani, avviso che io comunque me ne tornerò all’auto; L. ed A. si
associano. Intanto la povera F. viene spedita in cerca di un improbabile percorso
in discesa sul versante opposto della montagna. Gromit decide di passare alla marcatura a zona
e saggiamente rimane ad aspettare in loco la sua vittima. Alla fine, tutti si
defilano. F. se ne accorge e torna in vetta, dove viene subito ripresa in
custodia dal suo feroce cerbero.
Decidiamo salomonicamente per una piccola, ma scomoda (per
le mie ginocchia) variante in discesa. Per una volta, tutto fila liscio e alle
15 siamo dall’auto.
Intanto il discorso è incomprensibilmente scivolato sui nodi
di sicurezza. Qualcuno tira fuori dallo
zaino una corda già appartenuta a Emilio Comici e istiga il buon S. a dar
dimostrazioni di mezzo barcaiolo. Il test dà risultati raccapriccianti, che non
lasciano nessuna speranza ad eventuali compagni del nostro capocordata. Prudentemente,
la discussione torna a più consoni argomenti. Quando, dopo circa un’ora, D. ha
trovato un abbinamento maglietta-calzini di suo gradimento riusciamo a
dirigerci verso il fondovalle, dove solo a fatica troviamo un bar agibile.
Terrorizzati da una gru da cantiere che gira in modo totalmente
insensato sulle nostre teste, decidiamo di ripartire. L., cui ho pagato la
birra sottobanco, convince F. a dare un’occhiata a un negozio di sport cento metri più a monte. Alla velocità della
luce, saltiamo sulla Turbinosa e scappiamo più veloci di Carlo Martello. Un
paio di manovre riprese dai primi film di 007 mi consentono di confondere S., che supera senza vederla la Turbinosa, abilmente nascosta in un parcheggio a lato
strada. A ritmi per lui inconsueti S.
tenta un inseguimento impossibile, sinchè non cede al destino e si ferma a lato
strada per far vomitare la passeggera con lo stomaco più delicato del West. Gli sfrecciamo accanto, salutando e
sbeffeggiando.
Fuggiamo vigliaccamente, e solo la prospettiva di dover
dividere in tre invece che in quattro ci convince ad una tardiva resipiscenza. Dopo una convulsa trattativa imponiamo che il
cambio auto di F avvenga non prima di Altare. Secondo i nostri calcoli, nel frattempo, la
briosa guida di S. dovrebbe aver svuotato completamente lo stomaco della
tapina. In effetti, i conti tornano. Dopo un’ultima vomitata a mezza via tra
Soundomobile e Turbinosa, la F. non ne ha più ed io ho gioco facile. Guidando cauteloso
come Alain Prost (unico pilota a vincere un mondiale senza fare neppure un
sorpasso) riesco a salvare la tappezzeria.
Alle 18 come da programma sono a casa. Doccione
hollywoodiano, preparazione cibo per i pargoli.
Alle 20.30, finalmente liberi. Anniversario di matrimonio con cena
romantica al Fuoco di Bosco. Ovoli in insalata, fettuccelle di ortica ai
porcini, porcini fritti e semifreddo ai pinoli; il tutto, benedetto da una
bottiglietta di Rossese.
Gromit, intanto riposa soddisfatto accanto al suo osso da 5
kg.
Non è forse il cane il miglior amico dell’uomo?
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