Una cannonata di gita


Lungo il vallone di salita



L’idea di salire lo Chaberton mi aveva sempre incuriosito.  Da un lato, la posizione panoramica e l’accesso tutto sommato facile; dall’altro il valore storico della montagna. Anche M., da tempo, mi aveva detto di essere interessato.
Riusciamo ad incastrare questa gita nei giorni prima della mia partenza per le vacanze. Sono già in ferie, così anche questa volta riusciamo ad organizzare una due-giorni.
Dato che non c’è un rifugio in posizione utile lungo il percorso, scegliamo di andare a dormire al posto tappa La Fontana del Thures, che si trova all’imbocco dell’omonima valle. Il rifugio è incantevole.  Insieme a noi ci sono solo un altro paio di ospiti per la notte; il ristorante, invece, si riempie di passanti.
La cena, in effetti, è squisita. Antipasti misti, gnocchetti alla menta con pomodoro fresco, spezzatino, formaggi, dolce.  Tanto ben di Dio richiede di essere adeguatamente annaffiato, e non ci tiriamo indietro. A completare la serata, la garbata presenza,  al nostro tavolo, della scrittrice Marina Jarre, persona davvero piacevolissima. Anticipiamo i tempi, pagando il conto e chiedendo la colazione per le 6.30 del mattino successivo. Dopo un bicchierino di buon genepy artigianale e una rapida discussione con un simpatico gattino che si era infilato nella nostra stanza, ci cacciamo in branda.
La digestione è in effetti un po’ complicata, e sudo le classiche sette camice.
Al mattino, il tempo non è per niente buono. Facciamo colazione e ci avviamo alla macchina. E’ previsto un miglioramento in mattinata, ma lungo il tratto sino al Monginevro non ce n ’è traccia.  Decido di dar corso ad una delle mie solite scarmanzie e suggerisco di non riempire le boracce; tanto torniamo indietro, e comunque ci sarà certo acqua lungo il percorso: lo dice anche la relazione! La mie astuta dissimulazione trae in inganno il destino cinico e baro: il fato decide che vederci arrancare per 7 ore senza una goccia d’acqua è più divertente che vederci tornare a casa; ci punisce, quindi, con una giornata non perfetta ma senz’altro partibile come sanciva, invariabilmente, il caro vecchio Francesco.
Lasciate le oscenità architettoniche di improponibili casermoni per sciatori, imbocchiamo una pista che attraversa un bel bosco; con una brevissima salita si sbuca in un bellissimo anfiteatro dove c’è la partenza di una piccola seggiovia.
Siamo ancora bassini – circa a 2200 metri  -  quando attraversiamo la piana e iniziamo la vera e propria salita. Che, in effetti, è piuttosto ripida, ma anche in questo caso, regolare. Sarà che alla fine un po’ di allenamento comunque me lo sono fatto; sarà anche in questo caso la partenza ad un ora più fresca; in ogni modo salgo piano, ma senza faticare.
Arriviamo così al colletto dove sbuca la strada militare che sale da Fenils.


Dal colletto dello Chaberton verso la vetta



M. estrae dallo zaino un paio di monodosi di un non meglio precisato gel per ciclisti. Come Fantozzi, decido di doparmi. In questo caso, la bomba non produce effetti miracolosi, o forse non ne ho troppo bisogno.



Nuvole basse


Supero pacificamente l’ultima salita, lungo la quale vengo additato come esempio di lentezza da imitare ad un ottantenne di circa 120 chili cui il buon M. ha già prestato la sua racchetta.
Fa una certa tristezza che un monumento storico come il Forte Chaberton non sia stato oggetto di un adeguato recupero e versi in uno stato di sostanziale abbandono.


Le torrette dei pezzi d'artiglieria



Visitati i ruderi, butto giù un pezzettino di parmigiano – oltre non si può andare visto che non abbiamo nemmeno mezza goccia d’acqua - e aspetto che M. completi a sua volta la propria perlustrazione.


Interno di una torretta



La discesa si svolgerebbe tranquilla, se non fosse per il caldo, che comincia a farsi sentire e per una certa ansia da Moretti.
Arriviamo alla macchina verso le 15. Decidiamo di non lasciare un euro ai perfidi mangiarane e puntiamo dritti al confine. In effetti, la ricerca di un bar dove dissetarci occupa più tempo del previsto. Troviamo infine un luogo che ci sembra adatto alla circostanza, e lì M. da il meglio di sé costringendomi ad assaggiare la Panachée, che avevo sempre considerato una sorta di reato di lesa maestà nei confronti della mia adorata birra. Decido dunque di tentare,  e alla richiesta “piccola o media” rispondo sagacemente “La più media che ha”. Il barista esegue e mi porta una pinta della eretica mistura. Devo ricredermi. In effetti, la bevanda è piacevolmente dissetante. A quel punto M. deve cavarmi fuori dal locale prima che ne ordini altre sei. Rassegnato, mi faccio consegnare una lattina di aranciata che mi scolo appena saliti in macchina.
Il rientro è tranquillo e stavolta non ho nemmeno bisogno di dare a qualcun altro la colpa del ritardo. Arrivo a casa all’ora di cena.

Gita da incorniciare!


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