Il Porto delle Nebbie

L'unica, fugace, apparizione del Monviso



S. è ancora contumace. Senza troppe discussioni, io L. ed A. decidiamo per la Sea Bianca. Quota adatta alla stagione, dislivello accettabile, e quindi favorevole al rientro agonistico di L. Gli agiografi pubblicizzano, poi, un panorama da urlo sul dirimpettaio Monviso.
Prezzo per tutto questo bendiddio, un viaggio che rischia di presentarsi alquanto complicato specialmente al rientro, essendo prevedibile la solita coda da Savona  a Genova.
L. si incarica di studiare possibili alternative. Preannuncia telefonicamente un astruso percorso nella terre selvagge intorno a Millesimo. Per imbroccarlo, programma e porta seco un tablet  da lui stesso realizzato installando nel telaio di un  fornetto del Mulino Bianco circuiti ricavati dal Piccolo Chirurgo. L’apparato, miracolosamente, funziona;  peccato, però, che lo faccia a modo suo. Dopo averci imperiosamente invitato ad estrarre i saccottini, il display mostra prima l’andamento dei titoli di stato kirhghizi e, subito dopo, una puntata di Gianni e il magico Alverman;  seccato per il nostro disinteresse illumina infine il nasone rosso e passa in modalità solitario di Windows. 
In ogni caso, il viaggio d’andata non richiede supporti tecnologici.  Atlante stradale alla mano, imbocchiamo con precisione chirurgica  la Valle Po e la risaliamo trionfanti sino al Pian del Re.
Il tempo è quanto di peggio. Non piove e quindi non abbiamo nessuna scusa per infilarci in trattoria; la maccaja, in compenso, è densa come il catrame. L’energumeno che gestisce il posteggio garantisce con sicumera che il sole sta per uscire e intasca così i suoi 5 euro.
Rinfrancati – o intimoriti – dal neandertaliano sgommiamo alla bell’e meglio su per il sentiero.
Il Monviso ci sfotte comparendo per un attimo,dopodiché se ne torna tra le nubi. Non lo rivederemo più.
Solo segno di vita in tutta la salita, una sorta di salamandra nera.
Saliamo verso la vetta con rassegnata tranquillità.


In salita


Per rompere la monotonia della salita decidiamo di passare – del tutto inutilmente – dai pressi del Colle della Gianna e di affrontare un ardito cocuzzolo dalla cui insignificante sommità rischiamo caviglie e ginocchia per tornare al sentiero che – beffardamente – passa negli innocui pendii o sottostanti.  
Poco sotto la vetta,  la nebbia si infittisce. Da dietro la cresta spunta, improvviso quanto inequivocabile, un  paio di fiere corna bovine. L., in preda agli spasmi della fame, afferra un magollo e, al riparo del pendio, appioppa vigliaccamente una tremenda mazzata al malcapitato ruminante. Si ode uno strano rumore di ferraglia; le corna spariscono in basso.  Baldanzosi, saltiamo al di là della cresta per procedere a macellazione e cottura.  Una prima sommaria indagine rivela però che le corna non sono attaccate ad una fiorentina, ma ad un ridicolo elmetto da vichingo. Pochi metri più in là, il proprietario, con abbigliamento in stile e sguardo ebete vacilla farfugliando frasi sconnesse su valchirie e idromele. L. gli appioppa un sonoro ceffone. Il triste figuro torna in sé e declina le generalità. Trattasi del Trota, il quale confusamente afferma che il suo destino si è compiuto e di voler raggiungere il Dio Odino annegandosi nelle sorgenti del Padre Po. Dimostriamo il nostro entusiasmo per la sua idea lodandolo e cercando, con non poche difficoltà, di fargli capire che il fiume si trova nell’altra valle e dandogli la nostra disponibilità ad accompagnarlo direttamente in loco. La spiega viene interrotta dall’arrivo di un altro ominide con addosso solo un perizoma tarzanato e un paio di Rayban spiegazzati. L’anello di congiunzione, senza profferir parola, assalta l’aspirante suicida azzannandolo alla nuca. L. prova ad offrirgli un tramezzo con l’insalata russa, ma non riesce a distoglierlo.
Richiesto di chiarimenti dall’ineffabile A., mr. Ray-Ban ci guarda in tralice e motteggia:

Tu dei saper ch'i' fui Umberto lombardo
Dei leghisti capo sino a  ieri
E or rovinato da questo bastardo. 


Ciò detto, il folle si scaraventa nuovamente sulla vittima. A quel punto, vista soprattutto la non commestibilità della mal assortita coppia di legaioli, lasciamo l’improvvisato Conte Ugolino al suo fiero pasto e riprendiamo il cammino verso la vetta.
Dopo una serie di foto alla nebbia circostante ed un frugale pranzo, torniamo a valle.
Il miracoloso tablet Clementoni ci porta a Saluzzo, Savigliano, Asti.  Di lì tornare a casa è un gioco da ragazzi.
Bella gita, interessanti incontri, panorama – appunto – imprendibile.

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