Zitelle e abbagli
Panorama verso il gruppo del Chersogno |
La settimana inizia (mea culpa, mea grandissima culpa) con schermaglie dialettiche che rischiano di degenerare in un guaio.
Alla fine, la cosa in qualche
modo rientra. Rimane aperto il problema di dove andare; il che dipende, oltre
che dal meteo, anche dalle condizioni della neve.
Quando la meta è decisa –Monte Bodoira
– nascono dubbi sulla sicurezza delle condizioni.
Consultazioni frenetiche ci fanno
concludere per l’opportunità di chieder lumi a chi la sa più lunga;
interpelliamo così B., deus ex machina della
Val Maira, il quale ci dà per fattibile la montagna purché non si passi dal
Passo del Preit, Caradhras della zona.
Le previsioni del bollettino neve
segnalano pericolo di valanghe marcato, e anche la sicurezza del percorso per
le grotte di Moria non ci convince del tutto. Intervisto così l’ottimo P., il
quale, serafico mi domanda che cavolo ci andiamo a fare sul Bodoira. Incoraggiato
dalla risposta, suggerisco agli altri di lasciar perdere. Dirottiamo, saggiamente,
sul Nebin.
Si parte alle 6 da Ge-Est, sotto
la pioviggine. Per fortuna, le previsioni sono esatte e andando a ovest il
cielo diventa azzurro. La Soundmobile si trascina su per la A6. La Toyota di D., partito mezz’ora dopo da
Busalla, ci irride raggiungendoci già all’uscita per l’aeroporto. S. cerca di tener botta, e dopo un
inseguimento da poliziesco di serie B anni ’70 riusciamo a riprendere l’amico
appena in tempo per farci piantare in asso proprio all’altezza dell’agognato
autogrill di Altare. Intimato telefonicamente, Kankkunen si ferma all’altezza
dell’area di servizio successiva.
Dopo la colazione, vado ad occupare
il posto della suocera sulla Toyota. Senza difficoltà imbrocchiamo l’uscita
giusta dell’autostrada, attraversiamo sino a Dronero e percorriamo
l’infinitissima, infame, stradella che ci porta alla Costa cavallina, dove
comincia la gita.
Incredibilmente, la neve comincia
dalla macchina. E’ compatta, ma non scivolosa, ciò che quasi ci convince a
lasciar tutta l’attrezzatura nel bagagliaio. Alla fine, prudenza vince: fissiamo
agli zaini le racchette. Nel frattempo
mi accorgo di aver lasciato sulla Zafira, a Genova, gli occhiali da sole – ma
non è mai stato un problema… chissenefrega!
Si sale su neve portante per un
bel pezzo. Ogni tanto qualche folata di vento spazza lo spallone, ma siamo
ampiamente nei limiti della sopportabilità.
In salita sul crestone |
All’improvviso, dal nulla spunta
una spettrale pattuglia di ectoplasmatici sci alpinisti, che con stile decisamente
improprio scendono l’innocuo pendio. L’ultima della truppa, una zitella
alquanto prugnesca, mi intima di non proseguire a causa del forte vento che renderebbe
impraticabile la cresta. La mia faccia allibita deve fare il suo effetto, in
quanto si sente in dovere di precisarmi che quest’anno ha fatto ben 38
ascensioni. Un rapido calcolo mi fa
concludere che, vista la velocità di discesa, la poverina deve esser fuori casa
dal novembre del 1974, il che spiegherebbe tecnica sciistica, attrezzatura e
aviopenìa. Le prometto che staremo
attentissimi e mi esimo da ogni ulteriore commento. Sconfitta, la raminga scompare
così com’era apparsa. Mi convinco che si
è trattato di un’allucinazione dovuta alla fame, e, posto che comunque non
posso avvisare nessuno, decido di lasciar cadere la cosa.
Arriviamo così sulla prima,
ambitissima, vetta di giornata, tale Cugn di Goria del quale siamo
presumibilmente i primi salitori, in quanto non c’è nessunissima ragione al
mondo per non evitare questo insulso panettone, tagliando alla base.
I miei cattivi pensieri vengono
puniti dal repentino cambiamento delle condizioni della neve: la crosta gelata,
spessa 7-8 cm. , non regge e ci fa sprofondare nel sottostante strato di farinosa
che non c’è modo di compattare neppure schiacciandola con le racchette che, a
quel punto, tutti, con l’eccezione di A., calziamo.
Scendiamo alla Bassa dell’ Ajet,
dove attacchiamo gli ultimi 200 metri di salita, che si riveleranno alquanto
improbi.
L'ambita vetta del Nebin |
Anche i più atletici faticano e le condizioni estreme provocano
conseguenze psicosomatiche preoccupanti.
M. si convince di essere una
modella e chiede di essere fotografata in topless sulla vetta; S. vuole
scendere dalla parte opposta con il parapendio che è convinto di indossare; io,
saggiamente, comincio a cercare nella neve le bottiglie di Gewurztraminer che
sono sicuro Messner abbia nascosto in loco in vista di una futura spedizione.
Poco sotto la vetta, mentre sto cercando di estrarre col tirebouchon
l’incolpevole tappo del catetere, incontro D, che già in discesa, mi spiega
di essere la reincarnazione di Bonatti e di voler vendicare lo sgarro del K2.
Cinicamente, lo convinco che, raggiunta la vetta, gli conviene divallare in
fretta e lasciare le bombole (trattasi in realtà delle racchette) al sempre più
perplesso A., che è accasciato su un roccione un centinaio di metri più in
basso. Presentatosi come Lacedelli, rischia di brutto, ma alla fine prevale il
senso di responsabilità di Walter: superati i problemi ad un erogatore, anche
A. arriva in punta.
A. in salita |
La discesa da un 8000, come tutti
sanno, è sempre infida. Questa non fa
eccezione, offrendo qualche sia pur modesta possibilità di scivolare in modo
poco raccomandabile. Con le ginocchia che protestano, arrivo comunque al campo
base avanzato, dove tutti se la sono filata, tranne D., che sta dando fondo
alle provviste.Il resto del percorso è senza
storia. Arrivati in macchina partiamo in cerca delle delizie di uno spaccio di
prodotti locali che dovrebbe esser provvisto anche di idonea Moretti. Ci
arriviamo solo dopo un bel po’, e constatiamo con delusione che l’assortimento
di formaggi è ridotto a nulla. Io mi consolo con 0.66 di Beck’s; altri
rivolgono le loro attenzioni al bel paesaggio della zona.
I presunti malori di F. inducono
S. a procedere a passo da funerale, complicato dalla pervicace ricerca di un
distributore low-cost. Troviamo alfine il nostro Eldorado, nelle vesti dell’agognato
distributore da 0,0001 euro in meno al barile.
S. accosta, inserisce 20 € e fa per infilare la pistola nel bocchettone.
L’auto, però, presenta al distributore il fianco sinistro, mentre il serbatoio
è a destra. Poco male. S. fa scendere dall’auto manu militari l’esterrefatto A., cui intima di reggere in mano la
pompa mentre lui, consultati GPS, girobussola
ed effemeridi, dopo una veloce spiega telefonica di Brun Rusan, sfodera un’ abile quanto precisa manovra: fa
una rapida inversione ad U e si va a piazzare dall’altro lato del distributore.
Il comandante Kirk scende dall’Enterprise con
un ghigno compiaciuto, intimando all’improvvisato benzinaio di mettersi
all’opera. Peccato che la Soundmobile continua a presentare all’erogatore il
lato sinistro.
La manovra "Sound" |
A. cade letteralmente a terra dal ridere, mentre l’automatico
decide di punire la nostra insipienza tenendosi i 20 €. Acquistati, quindi, i
necessari 20 euro di gasolio al modico prezzo di 40, arriviamo – non si sa
perché – al casello di Mondovì nel tempo record di 2 ore da Stroppo. Il viaggio
è poi allietato da una serie di comiche telefonate con le rispettive mogli, sui
cui contenuti sorvolo.
Arrivato a casa, scolo tutto lo
scolabile e mi infilo sotto la doccia. Scoppia l’inferno, qualcuno mi ha messo
della sabbia negli occhi. Cerco di tener botta, ma alla fine una visita di
cortesia al pronto soccorso oculistico, si impone. Probabilmente la macumba
della zitella dev’esser arrivata a segno.
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