L'abito non fa il Monega


Poco sotto il Passo Pian del Latte
Il meteo determina la scelta della destinazione:  dev’essere qualcosa nel ponente. Alla fine, rimangono in ballo Ceppo e Monega;  tra i due, la spunta il secondo.

Siamo soltanto io ed S, senza neppure il povero Gromit, appiedato da volgarissime ragioni di cassetta. Il viaggio si rivela decisamente lungo. L’aria, in compenso, è a dir poco fresca se non fredda. Sceso dalla macchina, indosso la giacca a vento, che non toglierò per il resto della giornata.
Tira, infatti, una discreta arietta; per di più, sembra che stia per mettersi a piovere da un momento all’altro. Fiduciosi nelle previsioni che ci garantiscono che in realtà quella che vediamo non è nebbia ma una schiarita, partiamo.

L’idea sarebbe di fare un anello, salendo in vetta dalla strada sterrata e poi rientrando per il crestone.
Il percorso dell’andata si snoda senza troppi problemi, prima una mulattiera e, poi una strada sterrata.
Anche il tempo sembra migliorare. Di tanto in tanto, la vetta spunta in qualche squarcio di azzurro.


Attimo di visibilità

Ovviamente il tutto va a carte quarantotto quando arrivo al Passo Pian del Latte: sollecitato a gran voce da S. arrivo appena in tempo per gettare uno sguardo alle Liguri, prima che cali il sipario. Saliamo in vetta nella nebbia.
Mangiamo di corsa, senza nemmeno sederci e ripartiamo, sempre rigorosamente nel nebbione, lungo la cresta.

Tutti e due abbiamo la traccia da seguire sul GPS, ma evidentemente non basta. Un po’, perché mentre si cammina si guarda dove si mettono i piedi e un po’ perché tutti e due siamo colti da una strana sindrome per cui le nostre personali opinioni, essendo esatte, prevalgono non solo su quello che dice il GPS ma anche su quello che vediamo con i nostri stessi occhi.
Così, scavalcata la Rocca dell’ Agnello  scambiamo una cresta secondaria per quella principale e scendiamo su un versante diverso da quello dove credevamo di trovarci. Per migliorare la situazione,  confermo l’esattezza del nostro percorso (malgrado i luoghi siano evidentemente del tutto  diversi da quelli che abbiamo attraversato in salita) individuando la roulotte verde che abbiamo visto prima.
Alla fine, ci arrendiamo all’evidenza strumentale; tiriamo dritti per un pendio piuttosto ripido di erba sino ad incocciare una traccia che ci riporta in costa al Passo Monega. A quel punto, giustamente, la nebbia si alza e – per non saper né leggere né scrivere – con la coda tra le gambe e le ginocchia indolenzite torniamo sulla sterrata percorsa in salita.

Rischio un secondo pasticcio un po’ più in basso, quando decido di non seguire S. nella sua visita al Ciotto di S. Lorenzo. Mi accorgo appena in tempo che la sterrata che sto seguendo abbastanza bovinamente comincia a scendersene da un’altra parte: dritto per dritto, risalgo sino a ritornare sul sentiero giusto.


Arriviamo così alla macchina ed iniziamo l’ improba caccia ad un bar aperto, che troviamo solo a Garlenda. La simpatia del gestore compensa la lunghezza della cerca.
Gita un po’ sottotono, principalmente per il tempo che ha tolto ogni panorama e ha reso impossibile il percorso di cresta, probabilmente molto più remunerativo della sterrata percorsa all’andata. D’altronde, una gita trovata, visto che le condizioni meteo della giornata non erano proprio ideali!

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