Quel pomeriggio di un giorno da cani.


Quando non è giornata, non è giornata.
Le previsioni meteo per il fine settimana non sono buone. Si può far qualcosa solo ad ovest. Pare, però ci sia neve; occorre, quindi, essere attrezzati. S. ed M. non lo sono.
Si provvede. S. (incredibilmente) acquista un paio di racchette. M. trova gli scaffali vuoti e rinuncia.
Lo vengo a sapere solo venerdì pomeriggio. La sera tento un paio di telefonate ad amici. Uno ha un paio di racchette anni ’80 dell’Esercito, totalmente inutili; un altro, è fuori casa.
A me , in zona, interesserebbero Monega o Ceppo.
Stante la situazione, S. ri-propone due vette che dovrebbero essere pulite, Abellio e Abelliotto. Non c’è tempo modo e voglia di discutere dell’argomento, si va lì.
Nel frattempo una questione lavorativa comincia a farmi letteralmente fumare l’attrezzatura. Al mattino parto quindi di pessimo umore, umore che durante il viaggio viene un po’ mitigato dalle solite chiacchiere tuttologiche.
Arrivati in zona, comincia la solita fase tragicomica dell’ approccio. Il GPS di S. ci fa perdere almeno mezzora in assurde divagazioni nell’osceno hinterland ventimigliese. 
Arriviamo finalmente a Rocchetta Nervina, un posto, per capirci, paragonabile a Favale di Malvaro. 
La differenza è che lì non ci sono nemmeno la fabbrica di dolci e l’assortimento di birre del baretto d’angolo.
Cominciamo a camminare. La gita mette subito le carte in tavola: per tagliare un tornante, risaliamo lungo un interessantissimo pendio di spazzatura e rovi (rattaieu). Sbuchiamo, poi, su un’imprendibile piazzola di cemento, da dove il sentiero si snoda ripido per fasce ed orti. La temperatura è quasi estiva. Ovviamente abbiamo sbagliato strada. Dietrofront, e perdiamo il poco dislivello guadagnato. Si prosegue. 
Realizzo che sono le 11.15 e che mi trovo nelle fasce di un agriturismo, su una stradella cementata alla quota di ben 200 m. Davanti a me un ripido pendio di fasce, macchia mediterranea e boscaglia lungo il quale dovremmo risalire i prossimi 600 metri di dislivello.
Mi domando cosa ci faccio lì: sembra di essere nelle fasce di mia suocera, solo che l’originale dispone di focaccette col formaggio,ravioli e farinata.
Prevale il malumore, saluto gli allibiti S.e M. e, col fedele quattro zampe me ne torno indietro.
Passerò il resto della giornata a dormicchiare, sentire musica sul CD dell’auto e leggere il solo quotidiano disponibile in un negozio di alimentari dagli scaffali tristemente vuoti.
Al ritorno, M., che non ha bisogno di essere omertoso, ammette che non ho perso proprio niente, a parte (se mi piace il genere) un paio di laghetti lungo il ruscello. Dalla vetta (totalmente insignificante) si vedevano Ceppo e Monega, ovviamente quasi senza neve e quindi accessibili senza bisogno di racchette o altre diavolerie.
Risaliamo in macchina, stavolta, avendo spento il GPS, indoviniamo la strada. Peccato che a Ventimiglia ci sia una coda biblica che ci fa perdere la rituale mezz’ora. Dopodichè svoltiamo razzenti verso Sanremo e dopo un’ampio giro panoramico, alle 19 passate imbocchiamo l’autofiori.
In frigo non c’è nemmeno una Moretti piccina picciò. I ravioli ormai sono freddi
La Ste mi dice che ha chiamato l’amico che non avevo trovato la sera prima. Lo richiamo. Certo, le racchette ce le aveva!

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