9549 metri s. l. m.

Ebro e Chiappo salendo dalle Capanne di Cosola


Sino a domenica mattina si naviga nell’incertezza più totale su identità e numero dei partecipanti, destinazione, percorso ed attrezzatura.
Alle prime luci, navigo a fari spenti in Corso de Stefanis cercando di evitare incontri poco graditi. Gromit, nel trasportino, beve il caffè leggendo la Gazzetta e ballonzolando al ritmo di Shackled And Drawn.
Sul marciapiede intravvedo un ambulante che si trascina mestamente, carico di masserizie. Impietosito, mi avvicino pensando di regalargli qualche spicciolo per la colazione.
Quando sono a pochi centimetri scopro trattarsi di S. che per l’occasione ha addosso una versione extended and remastered della sua attrezzatura: oltre a costume da Pikachu, forno a microonde e pressa laminatrice, stavolta ha portato anche un paio di ciaspole appena acquistate e un cartone di disgustosi dolciumi bielorussi al cocco.

Stivato il tutto a bordo dell’esterrefatta Zafira, andiamo a stanare L. che viene sorpreso nel bel mezzo della sua settima colazione in un oscura bottega di Corso Sardegna. Se sta uscendo con un sorriso ebete stampato in faccia,  salutando pateticamente una nerboruta commessa il cui arcigno sorriso è appena addolcito dal lungo pelo che esce dal bitorzolo sul mento. Si accascia sul sedile posteriore dove dà fondo alle acciughe fritte appena preparate dalla sua Musa di giornata.
In macchina è intanto salito anche A il quale sopporta con paziente rassegnazione le follie del resto dei convenuti.

Arriviamo in men che non si dica presso tale località Vendersi, pugno di case acquattate alle pendici del Giarolo. Sopraggiunge D., unico uomo nell’universo mondo che riesce a guidare l’auto e, contemporaneamente a soffrirla. Stomaco debole o guida alla Nakajima?  Nel dubbio, conduco la Zafira come un commerciante di uova. Arriviamo così alle Capanne di Cosola senza inconvenienti. 

C’è una certa arietta, caso in cui il caratteristico setup di S. assume connotati leggermente fastidiosi. Cerchiamo con delicatezza di fargli capire che la giacca a vento è più utile della Città degli Orsetti.
Si rassegna, ma, per dispetto, rifiuterà di indossarla per buona parte della gita, adducendo di non aver freddo nonostante le taglienti raffiche di tramontana ci tramortiscano.

Arranchiamo sino alla prima vetta di giornata, il Chiappo (1699), ridotta ormai a discarica di zetto causa progressivo sbriciolamento dell’inopportuno rifugio posto a guardia di un demenziale impianto di risalita.
Inizia di qui una vera e propria marcia trionfale che ci vedrà cavalcare su ben 5 altre vette di oltre 1400 metri: l’ Ebro (1700), il Coserone (1665), il Gropà (1562), il Panà (1450) e – dulcis in fundo – il Giarolo (1473).

Dalla vetta del Chiappo, a sn. il crestone che seguiremo


Nel frattempo, per la felicità di S. scopriamo la madre di tutte le curiosità geografiche: il monte còncavo.
In effetti, il Monte Gropà non è un rilievo, ma un avvallamento della cresta. Verifichiamo su GPS, cartine ed altimetri. S. tira fuori un teodolite ed un radiotelescopio satellitare per misurazioni di precisione, ma non c’è verso. Concludiamo di esser entrati nel mondo dell’antimateria, in cui tutto è, ma al contrario di come lo conosciamo. Un rumore cupo ci annuncia quella che immaginiamo essere la catastrofe scatenata dallo scontro tra materia positiva e materia negativa.  Si tratta in realtà del ben noto fenomeno denominato ventilatio intestinalis putrens che, saltuariamente, affligge Gromit: la puzzetta ci riconduce immediatamente all’amara realtà. Non è una scoperta geografica, e nemmeno la scoperta dell'antimondo, ma solo un cartello segnaletico spostato da qualche buontempone: la  vera vetta è un po' più in là e domina dall’alto di una ventina di metri quella falsa. Stress e delusione ci convincono ad una breve pausa ristoratrice.

Non ci siamo, però, arresi e, fatto quel che si doveva, proseguiamo, implacabili, sino all’orrido capolinea di seggiovia piazzato sul M. Panà; e, di lì, sul soprastante e quanto mai panoramico Giarolo.

Battiamo così ogni e qualsiasi record umanamente concepibile, posto che la quota totale delle 6 vette eroicamente cavalcate dà un’ altezza di ben 9549 metri; ciò che fa sembrare il tanto rinomato Everest un’innocuo mammellone nevoso sul quale si agitano inutilmente escursionisti abbacinati da pubblicità ingannevoli.
Trionfiamo nella tramontana tra i tralicci del Giarolo, e, in preda all’ebbrezza della vittoria, ceffiamo miseramente un paio di macroscopici bivi, rischiando di finire a Vigoponzo o a Zebedassi, con le conseguenze facilmente immaginabili. Con un paio di magistrali azimuth guidati dal GPS ritroviamo la per nulla occulta via del ritorno ed imprecando per il male alle ginocchia ci ritroviamo nell’austero ma piacevole posteggio di Vendersi, più noto come il paese senza Moretti.

Mentre col povero D. risalgo a becco asciutto l’infinita strada per recuperare la Zafira, mi rammento che – per risparmiar tempo – all’andata non ho fatto benzina. Arrivato alle capanne, accendo la tapina ed ecco che sul cruscotto si accendono più allarmi che nel quadro comandi di Fukushima. A macchina quasi scarica, posso giocarmi la carta della disperazione. Percorro la pista da downhill che scende a Cabella rigorosamente in folle. Con un sospiro di sollievo, la Zafira si ferma davanti ad un distributore piuttosto ambiguo. Brucio 30 euro per comprare poco più di  due-tre litri di benzina e, sollevato, torno a recuperare il resto della truppa.

Gromit, intanto, ha allietato da par suo l’attesa dei tre compari, che sembrano, invero, un po’ sbattutelli.
Risaliamo a bordo e dopo essere riusciti ad incasinarci anche nella minimale attività di darci appuntamento in un qualsiasi bar per berci una birra insieme, raggiungiamo trionfanti Genova, e di lì le nostre case.
Stavolta anche il frigo è a posto, le Moretti sono rosse, cioè le mie preferite, e i ravioli fumanti.
Li assaporo insieme con la quieta soddisfazione di chi ha portato a termine qualcosa di davvero unico.
Passerà molto tempo prima che qualcuno possa ripetere la nostra impresa, o anche solo avvicinarcisi.







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