Venghi ragioniere, venghi!

La vetta del Maggiorasca vista dalla Rocca del Prete (foto di Soundofsilence)

Domenica mi attende un’indigeribile trasferta a Chivasso; e, non volendo trascorrere tutto il fine settimana in macchina rifiuto qualsiasi destinazione più lontana della porta del bagno.
Il povero S. -  che vorrebbe andar in Apuane – si rassegna a fare un salto sul Maggiorasca, previe visite a Tomarlo Rocca del Prete e Croce Martincan.  Intanto, se ne esce P., il quale ignaro escogita una destinazione ancora un po’ lontana, e mi propone il Parco dell’ Orecchiella. Consulto MapSource il quale, asettico,  conferma che si tratta di qualcosa come 400 km andata e ritorno.  Spiego a P. che proprio non me la sento.  P. si riserva e, a scioglimento, si dichiara disinteressato alla gita avetana. A distanza di 6 mesi dall’ultima volta, si va quindi verso levante (o sud che dir si voglia).

Nel buio che precede l’alba Gromit tenta le solita azione elusive: prima finge di dormire, poi simula una  crisi epilettica con pallore, sudore freddo e tremori. Non abbocco, e lo carico di peso nel bagagliaio della Zafira.
S. A. e G. spuntano poco dopo.  Mi rammento appena in tempo che siamo in piena zona disco. S. deposita la spazientita Soundmobile nel posteggio privato del mio condominio. Ringalluzziti decolliamo verso Lavagna e poi di lì per l’infinita statale verso Santo Stefano ed il Tomarlo.

Al Tomarlo fa piuttosto freddino, il cielo ha il tipico colore da fregatura. Ricorro quindi all’estremo ma infallibile rimedio scaramantico di lasciare la Nikon sull’auto (le foto a corredo sono tutte di Sound e di Aldo 51). Per l’occasione ho deciso di inaugurare un magnifico paio di braghe da escursionismo. Sono secoli che non cammino coi calzoni lunghi; scopro così la difficoltà di installare le ginocchiere senza togliere le braghe. Dopo vari incastri di velcro, pantaloni e pelle prendo la drastica decisione di calarmi le braghe per sistemar il tutto, e così l’ineffabile A. mi immortala.


Braghe nuove, setup nuovo (foto di Aldo51)

S. intanto è stranamente silenzioso e lento nel setup. Scopriamo con raccapriccio che si è appena accorto di aver preso dall’armadio uno scarpone del 44 ed uno del 45. Ignote le ragioni. Nel frattempo, spantega l’intero contenuto dello zaino nel posteggio. Rileviamo: un compressore industriale, un acquario completo di pesci pagliaccio e piranhas, tre bottiglie di the ghiacciato, 10 pizzette di gomma provenienti dall’attrezzeria del Carlo Felice, 452 merendine fiesta snack comprate per corrispondenza ai magazzini GUM di Mosca, 7 macchine fotografiche tra cui un banco ottico 20x24 del 1917 e una fotocamera a bottone usata dagli agenti della STASI, l’album calciatori del campionato 1966-67, 26 doppioni della figurina di Helmut Haller, svariate automobiline, una tromba ad aria compressa da stadio, alcuni capi di vestiario femminili ed un poster 100x70 di Cristiano Malgioglio.
Disperdiamo a fatica le gitanti del pullman del Centro Anziani di Bedonia, convinte di essere arrivate al famoso mercatino di Natale di Romezzano.  Con grande diplomazia spieghiamo a S. che non è il caso di portarsi dietro la motozappa e il set di palanchini appena ritovati nella tasca sinistra; decidiamo invece di accontentarlo sul coccodrillo gonfiabile, e, dopodiché, certi del suo veloce recupero, lo lasciamo a rimetter dentro lo zaino tutto ‘sto ben di Dio e cominciamo ad incamminarci. In fondo, S. è l’unico al mondo che riesca contemporaneamente a mangiare, parlare e camminare in salita a passo svelto.
Dopo una ventina di minuti, realizziamo che di S. non c’è traccia alcuna. Ci fermiamo. Chiamiamo. Cerchiamo di convincere Gromit a cercarlo, ovviamente senza risultato. Proviamo coi cellulari. ovviamente nessuna risposta (scopriremo poi che S. ha un secondo telefono da gita del quale noi – abituali compagni di escursioni – ovviamente NON abbiamo il numero). Preoccupati soprattutto per le ben note capacità di orientamento del nostro amico, torniamo a cercarlo. Lo troviamo che se ne torna bel bello dal Tomarlo, dove pensava fossimo diretti. Tutto è bene quel che finisce bene, a parte che per il povero Maurizio, tirato giù dal letto da una improvvida telefonata del nostro esploratore che ovviamente aveva ritenuto che la miglior soluzione per trovare noi fosse quella di chiamare qualcun altro.

Ricompattato il gruppo cominciamo baldanzosi la salita verso la vetta; o per meglio dire le varie vettucole di giornata. In ossequio alla scaramanzia, rifiuto seccamente di salire alla Croce Martincan e do appuntamento a tutti su quella che è la sola cima seria di giornata, e cioè il Maggiorasca.
Dove, peraltro, fa alquanto freddino e per ripararsi dal vento non c’è nulla di meglio di un baracchetto di legno grosso come una cuccia, dentro cui mi rannicchio in attesa degli amici; che ineffabili spuntano rigorosamente dalla parte sbagliata.
Tentiamo una foto di vetta, che presumibilmente finirà sulla locandina del remake La Morte Sospesa e ci imbarchiamo  in un’accesa discussione sul da farsi; io vorrei, alquanto logicamente, chiudere l’anello passando da Cipolla-Astass-Groppo Rosso- Riofreddo e pista da fondo; S. ritiene imprescindibile la Rocca del Prete. Accantoniamo il problema e decidiamo intanto di scendere un po’ per mangiare. 

Sound e Gromit finalmente sposi (foto di Aldo51)


Cediamo infine alle lamentele di S. ed accettiamo di salire sulla Rocca del Prete, cioè un prato senza capo né coda appoggiato sul punto più insignificante dell’acrocoro del Maggiorasca. Dalla vetta (?!)  si scorge una assurda pozza di fanghiglia marronastra che l’Azienda di Soggiorno di S. Stefano spaccia per un laghetto; dobbiamo ricorrere ad ogni possibile astuzia per convincere S. a non intraprendere una folle ravanata per raggiungere quella che ai suoi occhi deve evidentemente sembrare la laguna di un atollo da mari del Sud.
Il sentiero che ci riporta sulla Tomarlo-Maggiorasca pianeggia in una splendida faggeta

La faggeta tra Rocca del Prete e Passo del Tomarlo (Foto di Soundofsilence)

 e sbuca in una incantevole radura.

Arrivati all’auto i cacciatori di cime tornano in loro e decollano verso la vetta del Tomarlo, che abbina una totale inutilità ad una certa difficoltà. Decido di rinunciare ai certi episodi comici e mi ritiro sulla Zafira. Dopo un’oretta buona – sempre in considerazione della ben nota abilità tecnica di alcuni degli interessati – comincio ad essere roso dai dubbi; li immagino felicemente scesi a Bedonia o dispersi sopra Amborzasco e decido di andare a dare un’occhiatina.
Dal posteggione sotto il monte, nulla si vede; né ci sono tracce di loro lungo sentiero e strada che vanno alla Forestale.
Ritorno al passo e, miracolo, eccoli lì.  Non oso chiedere come abbiano impiegato due ore per fare una gita da quindici minuti.

Il mio pensiero è ormai rivolto alla medicina che tutto cura: ipotermia, arsura, alopecia, dissenteria, stitichezza, traumi discorsivi e contusivi, gastriti, encefaliti, vesciche e verruche.
Trattasi, ovviamente di una fresca Moretti.

Imbarco i reduci di questa Caporetto dell’escursionismo e decollo verso il bar d’ordinanza dove officio il rito di fine gita dopo aver controllato il ritorno alla base del mio macellaio preferito e l’ intatta operatività della madre di tutte le pasticcerie, ai cui squisiti segreti inizio gli incauti alpinisti di giornata.
Lunga vita ai canestrelli!

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