I grandi orizzonti di una piccola montagna

Settimane di scoramento.

Il mio suocero preferito, dico preferito perché non ne avrei voluto uno diverso e perché di uomini così, in giro, non ce ne sono più - e ce ne sarebbe invece un gran bisogno - ci lascia all’improvviso.
Ci accorgiamo sempre un po’ troppo tardi di cosa le persone significhino per noi.
Particolari e gesti ormai divenuti quotidiani, nel ricordo ritrovano il loro significato.
Si rivelano così per nulla scontate manifestazioni di dolcezza e di attenzione, specie per i nipotini.
Per loro, il nonno era una specie di gigantesco (perché oltre ad essere un grande uomo lui era anche un uomo grande) ed invincibile eroe, capace però di trascorrere il suo tempo con loro giocando con il Lego o con i pentolini.

Oltre la rusticità del ligure autentico – copertura per un cuore certamente tenero – c’era un uomo vero e buono, che si esprimeva nel fare anziché nelle chiacchiere; e che, giustamente, era benvoluto da tutti.
Succedono cose inimmaginabili: avete mai visto il postino presentarsi per dare un’ultimo saluto a chi – in definitiva – era solo uno dei tanti recapiti? O la farmacista del paese dire il suo dispiacere nel sapere ricoverata una persona che si presentava sempre affabile e sorridente?
Io no, e mi prende in contropiede lo scoprirlo di un uomo che – a vederlo ed a sentirlo parlare – era la quintessenza del nostro genius loci, e quindi sfuggente ad ogni e qualsiasi insincerità o opportunismo.

Così, dopo due settimane, torno in montagna.
Alla fine, davvero grazie a S. per la sua gentilezza, si va sullo Zerbion.
Ci sono già stato, e anche tante volte, l’ultima con mia figlia due anni fa.
In un momento un po’ così, mi rincuora andare in un posto in cui mi sento di casa e dove so che la dolcezza del paesaggio e gli ampi orizzonti mi aiuteranno a rialzare lo sguardo.

Incappiamo nell’unico periodo di chiusura della funivia per Chamois che io ricordi.
Poco male; si parte da La Magdeleine.
La compagnia è numerosa e piacevole.
Per una volta, il fattore F. (=Fantozzi) si scorda di noi e così dalla vetta possiamo godere un panorama davvero spettacolare, anche se vedere il Cervino tutto spelacchiato lascia un po’ perplessi.
In discesa, allunghiamo il giro con un arditissimo traverso per prati che, sotto la mia abile supervisione, ci porta all’imbocco del sentiero natura di Chamois.
La giornata non è per nulla autunnale, se non nel giallo oro di un giovanissimo larice e nel rosso dei cespugli che ricoprono le pendici del Tantanè.
Arriviamo al Colle Pilaz, e di lì alle auto, che abbiamo lasciato ad Artaz.
Siamo davvero accaldati, e stupisce ricordare che siamo già al primo di ottobre.
Per la birra, non c’è verso di fermarsi prima di Antey, dove i meno seri preferiscono una misera coppetta di gelato.
Il ritorno, per una volta, è a un’ora civile.

Ricky e Gromit sono a dormire dalla nonna, Stefania alla festa di un’amico; Marina fa la tassista dal mattino, ed è giustamente stanca.
Disfo lo zaino, faccio la doccia e mi ficco a letto.

Penso a questa giornata ed a tutto quello che l’ha preceduta.
Non ci sono molte cose che si possano dire. Alla fine di tutto, credo di poter solo ringraziare, ringraziare mio suocero di tutto quel che ha fatto per me e per i suoi nipotini, ringraziare la mia famiglia per il suo amore, ringraziare gli amici per la gita ed il buon Dio per tutto questo e per le tutte le meraviglie che sono al mondo, che di sicuro non merito.

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