In Folle


Già mercoledì l’araldo di Lachesi getta le sorti.  Esce la Rocca dell’Abisso.
I più atletici abbozzano ed iniziano ad ipotizzare rinforzini di quella che si presenta come un’insignificante passeggiata da 17 km e 990 metri di dislivello. La pochezza del percorso induce a fissare un appuntamento sbracatissimo alle 6.15 del mattino.

Il numero dei partecipanti consente di inscatolare tutta la truppa sulla Soundmobile ma esclude il povero Gromit, che ringrazia per la scampata fatica.
Pochi chilometri dopo Sampierdarena, le folate di mistral rendono superfluo il ricorso al motore. Con una serie di magistrali manovre, S. mette al vento le ampie fiancate della Renault e, sfruttando ogni refolo, percorrere da par suo i due lati di bolina che ci portano sin quasi all’inizio della A6.

Il cambio di propulsione si rivela più complesso del previsto, tanto da richiedere una sosta tecnica. S. estrae dal bagagliaio una grossa chiave a T, che inserisce in uno strano meccanismo sopra l’asse posteriore. Imprime all’attrezzo diverse vigorose rotazioni, che producono uno strano rumore da ingranaggio di orologio. Dopo un paio di minuti chiede il cambio. Ci alterniamo nella manovra, che diventa via via sempre più faticosa. Quando è impossibile andare oltre, S. si fa spingere sulla corsia di accelerazione e ci invita a saltare velocemente a bordo. L’auto, imbizzarrita, fa un butto tremendo e schizza in avanti a velocità folle. Dopo circa tre km, però, la velocità inizia a calare e il dragster si ferma. Ricarichiamo. Si va avanti così sin quasi a Ceva dove, stremati, rifiutiamo di dare la corda alla Mégane per l’ennesima volta.

Rassegnato S. affronta la pianura col turbodiesel ausiliario, che conduce con sagacia ineguagliabile ad una media sotto i 2 lt./100 km. La velocità non ne risente più di tanto. Arriviamo infatti in sole 6 ore all’appuntamento con la povera A., che, nulla sapendo dei metodi di S., immaginava potessimo arrivare da Genova a Fontanelle in sole 2 ore e mezzo.

Stante l’eccessivo carico di persone e cose, per contenere i consumi ci vediamo costretti a passare alla propulsione animale.  Dal pavimento spuntano le pedaliere.  L. batte  sull’apposito tamburo un ritmo che a malapena riusciamo a mantenere, ma che ci consente di sfiorare per alcuni brevi tratti i 18 km/ora. Una pattuglia di carabinieri, esasperata, ci supera infischiandosene della linea continua. L’appuntato Cacace ci sberleffa dal finestrino.
Di riffa o di raffa arriviamo a Limone, dove finalmente S. riaccende il motore.  Per ottimizzare l’impiego di carburante, la salita al Colle di Tenda viene affrontata in sesta marcia a circa 80 km/ora.

Scendiamo dall’auto almeno un chilometro prima del necessario, e finalmente comincia la parte riposante della giornata.
La strada militare ed un paio di opportuni tagli ci portano con poca fatica alle pendici della nostra montagna.
La Rocca dell' Abisso dai pressi del Colle di Tenda
Il percorso, in effetti, è alquanto frequentato e consente incontri con una fauna alquanto folcloristica. Si va dal gruppo casalinghe monregalesi ad una pattuglia di scombinati con barbe, bandane e ragazze al seguito (palesemente mosse da ragioni non escursionistiche che gli idioti dimostrano di non apprezzare adeguatamente).

L. se la passa come Merckx nella tappa di Sanremo e resta intruppato nelle retrovie con il sottoscritto e la povera A., che non si è ripresa dall’infortunio alla caviglia (ma non lo sa ancora).


Lungo l'itinerario di salita
 
Come in ogni retroguardia che si rispetti, la salita viene presa  poco sul serio; prova ne è il fatto che sotto l’ultima rampa sbrachiamo definitivamente cominciando a parlare di mangiare e passando poi alle vie di fatto. La mite A. ingoia, nell’ordine, un paio di succhi di frutta, una  banana ed infine  un intero, enorme, panino multifarcito. L. si dà da fare con miele e parmigiano. Io cerco di compensare limitandomi ad un pugno di uvetta (fate un po’ voi la crasi).

Ringalluzziti raggiungiamo in vetta gli amici, che ci davano ormai per dispersi. 


Dalla vetta, panorama verso le Alpi Liguri
 Le casalinghe di Mondovì aprono gli zaini e ne esce ogni ben di Dio: frittate, polpettoni, pizza, bastoncini Findus (mah!).  Evito di controllare il reparto bevande che potrebbe rendermi aggressivo. Dopo ampia discussione decidiamo di separarci. Io ed L. torniamo per la via dell’andata; i più ardimentosi (contando sul fatto che il viaggio di ritorno in auto sarà in discesa) si lanciano verso gli imprendibili Lacs De Peyrefique.

Lacs De Peyrefique, dalla vetta della Rocca dell' Abisso. Non si vedono abbastanza bene?

Io ed Eddy, lamentandoci delle rispettive cervicali, arriviamo in qualche modo alla strada militare, che decidiamo di seguire integralmente. La fregatura, però,  è dietro l’angolo. Come in un cartone di Vilcoyote, un pezzo di strada è sparito nel nulla.  Superiamo il buco con un ardita arrampicata su terriccio e malfidi appigli mobili, approdando illesi dall’altro lato. Le casalinghe monregalesi, che ci seguivano (!) non se la sentono di affrontare il mauvais pas e risalgono al bivio per percorrere il sentiero di salita.

In prossimità dell’auto cominciamo a fare i conti sulle ore di attesa che ci toccheranno, quando alle nostre spalle cominciamo a sentire, in lontananza, il caratteristico rumore di ferraglia. Trattasi, ovviamente, di S. che, come al solito, usa i bastoncini da trekking per arare la strada.
Il sollievo è di breve durata perché scatta l’operazione Salvate la soldato A., rimasta con la caviglia in mano da qualche parte sul versante francese.
La notizia che bisogna andare a recuperarla in auto ci getta nello sconforto. Immaginiamo terrificanti discese in folle che dovremo poi risalire a spinta.  Ci imbarchiamo. Grazie ai miei  posati consigli, raggiungiamo il resto della truppa e torniamo al colle senza farci del male.

Risollevati, apriamo la caccia al bar che, presi dalla foga, concludiamo ingenuamente in un osceno finto rifugio alla partenza degli impianti. La birra è di una marca improponibile. Un barista semiritardato per tre volte cerca inutilmente di aprire il chinotto di S. con un patetico gioco di destrezza.  Alla quarta occhiataccia, stappa normalmente e serve. I toast hanno una gestazione come quella di un elefante africano. Il conto, ovviamente, è stratosferico.

Indispettiti ed infreddoliti ci imbarchiamo sull’ Enterprise che, grazie all’abbrivio accumulato nella discesa di Limone arriva in folle sino a Fontanelle, dove sbarchiamo A.
Un paio di spinte e qualche sana pedalata ci consentono di scavalcare l’Appennino e di scendere, trionfalmente in folle, a Savona. Cominciamo a temere il peggio quando S., con un gesto atletico, prende al lazo il gancio traino di un Volkswagen T1 color LSD carico di hippies sessantenni che stanno rientrando dal loro pellegrinaggio annuale a Woodstock.
Respirando a pieni polmoni gli strani gas di scarico, veniamo trascinati – GRATIS – sino a Genova Est dove l’ennesima abile discesa in folle ci riporta al posteggio di partenza.
  
La vettura di cortesia del cinquestelle di  Prato Zanino è già lì ad aspettarci. Basta solo spingerla un pochino.

Commenti

Post più popolari