Ciao, Big Man


Non so se sia del tutto normale, a 52 anni, piangere per la scomparsa di un sassofonista. O forse lo è, se quel sassofonista è Lui: Big Man Clarence Clemons.

 
Rosalita è l'ultima canzone prima dei bis, parte la presentazione dei musicisti.
Bruce li chiama, ad uno ad uno, con i loro nomi. Poi Bruce fa una pausa, ed urla: «And Last but not least», e sin lì non ci sarebbe nulla di straordinario, ma ecco come ci descrive l'ultimo componente della band:
«The King Of The World,
The Master Of The Universe
It's a Bird,
It's a Plane…
On the Saxophone
BIG MAN Clarence Clemons.»
Non avevo mai sentito nulla del genere.
Ci volle poco per scoprire che era tutto vero. Clarence era sicuramente tutto questo, ed ancora di più.
Aveva un sound unico ed inimitabile; credo che tecnicamente non fosse un prodigio, ma in confronto a  lui gli altri sassofonisti sembravano miseri scoreggioni.
Per capirlo, basta ascoltare il suo assolo in Jungleland; a qualcuno, ha salvato la vita – e non c'è da dubitarne.

 
In più Clarence era l' alter-ego e l'amico di Bruce, che a lui riservava onori speciali.
Potreste mai immaginare Bob Dylan che nel bel mezzo del concerto prende la rincorsa, fa una scivolata di 5 metri sulle ginocchia e si va a piazzare sotto il chitarrista per baciarlo?
Bruce, con Clarence lo faceva.





Clarence era non il simbolo della band: era la band. Ad ogni assolo, dallo stadio si alzava un boato come per un gol di Maradona.


Ora il tempo ha richiesto il suo prezzo. Clarence se n'è andato, e nulla potrà più essere come prima,
perché con lui se n'è andata anche una parte di  noi. 

O forse sì, tutto rimarrà come prima, perché continueremo a farci salvare la vita dai suoi assoli scintillanti.

Grazie, Big Man, sarai per sempre nei nostri cuori.

 

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