M. Bertrand: Ispettore Callaghan, il caso F. è tuo.


Le premesse della gita sfiorano il feuilleton.
L' appena riabilitato Gromit viene vigliaccamente escluso a causa di una banale questione di spazio in macchina: al previsto terzetto composto dal sottoscritto, mr. S e mr. L. si uniscono infatti il resipiscente mr. M76 e miss. F.
Come un soldatino bene addestrato, in venti minuti – caffè compreso - sono pronto a salire in macchina.
Alle 6.15 arrivo a Genova Est. S. è già sul posto e mi vede arrivare.
Tutto troppo facile. Chiaro che bisogna aspettarsi il peggio da un momento all' altro. Ed ecco, infatti, che puntuale si presenta la nostra nemesi, con le solo apparentemente innocue vesti di miss. F., la quale, serafica, monta sulla Scenic del povero S. ed inizia un'ampia ed approfondita esposizione delle proprie ragioni su ogni e qualsivoglia argomento.
Presi dal panico tentiamo un'atterraggio d'emergenza in un turpe autogrill dell'alta Valbormida; ma cannoli e caffè non hanno effetto. M76 manifesta propositi suicidi; lo convinco che proseguire sulla Renault rossa è il miglior modo per coltivarli.
Ed infatti S. ci mette del suo, trascinandosi come al solito sull'A6 e sui rettifili della Val Tanaro, salvo poi percorrere a 130 di media l'esigua striscia d'asfalto che solo un muretto alto quanto mezzo mattone divide dai precipizi delle Fascette.

Con un sospiro di sollievo ci catapultiamo giù dalla Guantanamo su ruote messa insieme da S. ed F., toccando terra in un area merendera di recente creazione che rende ancor più malinconico il ricordo di tanti campi scout in quel posto una volta intatto. Solita installazione di scarponi e protesi, e fieramente attacchiamo una bella sterrata che in salita ripida, ma anche no, rimonta lo splendido bosco delle Navette.


Lungo tutta la salita cerco di inventarmi strambate e squallidi espedienti per tenere a distanza di sicurezza F., la quale ha evidentemente molto più fiato del sottoscritto e non si risparmia nell' impiegarlo in disquisizioni su argomenti eterogenei quanto mai.
Esauriti i trucchi del mestiere, non mi resta che fare outing: ed allora giustifico il mio nick intimando all' ingenua oratrice di star zitta o di allontanarsi ad almeno dieci metri di distanza dal sottoscritto, il quale gradirebbe ascoltare il silenzio del bosco. La tapina obbedisce appena prima che l' inopinato ritrovamento di un coltello a serramanico mi suggerisca soluzioni ancor più estreme.

Sbuchiamo sulla Monesi-Colle di Tenda e la seguiamo, ai margini superiori del bosco, per una mezz'oretta.


Ambiente e panorami sono fantastici e per la prima volta in questi due mesi di ripresa attività mi sento come un topo nel formaggio – anche perché, avendo carognescamente securizzato F., riesco a godermi fresco, silenzio e falsipiani.

Arriviamo così al punto in cui dalla sterrata stacca il sentiero verso la Colla Rossa; sentiero che, ovviamente, perdiamo non appena possibile, fingendo di puntare direttamente alla soprastante parete rocciosa della nostra montagna.


Detto fatto, raggiungiamo la traccia proveniente proprio dalla Colla Rossa e diretta verso la Cima di Velega; la seguiamo verso NE, attraverso qualche macchia di neve innocua, ma non per noi.


M76, distratto da un' inopportuna telefonata con la sua dolce metà, sprofonda in un baratro profondo circa mezzo metro , e s'ammucchia su un roccione scaricando il peso di sé e della telefonata della moglie sul mignolo destro, che si trasforma immediatamente in una sorta di Z bluastra.
S. lo soccorre suggerendogli di pucciare il dito nella neve; io propongo una più scientifica alternanza di caldo e di freddo, peraltro fraintesa.

Menomati, ma non fiaccati, arriviamo al punto in cui scatta, come al solito l'inappellabile Ognuno per sé e Dio per tutti.
Superata una crestina, arriviamo alla base della inviolata parete NE.
F. dichiara di averne abbastanza e si ferma sul posto. Noi proseguiamo lungo i tornanti del sentiero, intavolando una formativa discussione sulle possibili sorti di F. per il caso in cui si decidesse la discesa verso la Colla Rossa. Responsabilmente decidiamo che – nel caso – le lanceremo un paio di urlacci dalla vetta dicendole di arrangiarsi. Mi dichiaro contrario ad abbandonarla in mezzo ai pericoli; ma preciso subito che la democrazia ha le sue regole, che, vivaddio, vanno pure rispettate. Mi rimetto, dunque, alla maggioranza.
Che intanto si sfalda in due fazioni: M76 e L. notano sulla innevata cresta principale una leggera esitazione che disegna un' impercettibile contropendenza: l' embolo del cacciatore di vette parte immediato e li convince ad un traverso chilometrico, pancia nella neve, per raggiungere l' inopinato quanto irrilevante oggetto del desiderio.


S. ed io stoicamente affrontiamo a viso aperto l'orrida parete che ci sovrasta. Per fango, sfasciumi ed erbette ci inerpichiamo – senza ramponi e senza assicurazione alcuna - verso la cima. Immagino di percorrere un' eroica nuova direttissima all'invitta montagna. L'illusione svanisce qualche attimo dopo, quando scorgo sopra di noi un ometto di una certa età accompagnato dal suo cane ciccione.
Gli esploratori dell' estremo ci raggiungono in cima dopo aver scavato varie trincee nella neve molla; batto il mio record di fachirismo pranzando con nr. 3 albicocche secche.
All' ombra dell' unica nube nel raggio di 300 chilometri, scendiamo per la via di salita.
L., S. e M76 confabulano; intuisco il pericolo, ma non immagino fino a qual punto i fedifraghi si siano spinti. Le mie ginocchia salutano, e altrettanto fanno i tre baldi compari che spariscono all' orizzonte abbandonando nelle mie grinfie F.
La quale mi annuncia che i furbetti se ne vanno anche alla Missun (che lei mai e poi mai vorrebbe salire) e che l' appuntamento è un po' dove capita. Penso al coltello nello zaino; ma, in un attimo di debolezza decido di lasciar perdere, e di rispolverare le mie antiche arti da Capo Clan.
Alla prova, la povera F. si rivela personcina a modo, e chiacchierando finalmente in modo garbato riusciamo a divallare sin quasi alla macchina. Mi pento dell'approccio burbero e dell' atteggiamento scostante sin qui tenuto. Insomma, tutto va per il meglio.
Pochi metri prima del traguardo, ci raggiunge il baldo terzetto dei cacciatori dell' inutile; ma quasi non me ne accorgo, ormai interamente preso dalla preoccupazione per la prematura dipartita dell' unico bar di Upega.

E' ben noto a tutti che S. dev'essere a casa alle 17. Peccato che intanto siano già le 15.30. Lungo la discesa, la povera Scenic immagina di esser stata venduta ad un giostraio folle. Io ed L. a malapena riusciamo a strappare una sosta tecnica a Viozene. Mentre ingollo una Menabrea formato famiglia, teorizzo malinconicamente un tagliere di formaggi del posto; ma dobbiamo andare. Comincio a soffrire una fame feroce.
S. estrae insospettate risorse non solo dal turbodiesel ma anche dallo stomaco di F., che stabilisce un nuovo record, riuscendo (e ne ha ben donde) a dar fuori addirittura in autostrada.
Intanto, io e L. cinicamente discutiamo di trattorie e preparazioni gastronomiche
Arriviamo, a butti, a Genova Est. Cambio auto, corsa disperata a casa.

Il frigo contiene solo un immenso punto interrogativo. Apro lo zaino e riesumo pancetta e parmigiano ormai semisciolti. Compilo un panino della disperazione e lo addento; accanto a me, l' ultima Moretti rimasta.
Il supereroe appoggia la sua fedele zampa sulla mia gamba, chiedendo di prender parte all' improvvisato festino. Ci guardiamo.
Perché no, in fondo?

 

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