Colpi di fulmine sul Gòttero

Annus horribilis.
Mattaje del meteo e difficoltà a far coincidere impegni miei e degli usuali compagni di merende mi inducono a cercare compagnie alternative su un forum di appassionati.
Purtroppo per me e per gli altri, mi trovo a farlo in un momento in cui le mie condizioni sono pressappoco quelle della Germania nel 1945.
Mi propongo mettendo le mani ampiamente avanti, dichiarando totale disponibilità, ma solo per gite da pensionati; adduco ogni e qualsiasi malanno, malattie infettive ed encefalite letargica escluse.
Tovo incredibilmente pronta risposta in mr. S, che il nick qualifica come seguace di un noto duo folk-rock dei tardi anni '60.
Patetica trattativa telefonica, nella quale cerco di impietosire il nuovo amico e, contrattando come un meschino venditore di paccottiglie, spunto un tetto di 6-700 metri di dislivello.
Si passa poi alla pratica e concordiamo per il Gòttero. Mr. S. propone una salita da località a me ignota: immagino oscure faggete e appiombi; terrorizzato, confermo di essere a malapena deambulante e strappo l' alternativa lungo l' AVML, partendo da ZumZeri.
Sulla neve, decidiamo che al massimo ci dev'esser stata una spruzzata decorativa e che non dovrebbe, quindi, intralciare i nostri piani.
A sorpresa, si unisce il carissimo amico M., un po' desueto all' attività escursionistica, ma fervente fungaiolo, esperto di psicologia canina e partner del mio guru C. in alcuni studi di nanofisica molecolare applicata alla cottura della focaccia col formaggio.

Al mattino, parca colazione e scoperta che il dannato catetere ha sviluppato preoccupanti formazioni fungiformi. Unica alternativa, la borraccia colabrodo di mia figlia, che riempio pregandomela buona. Ovviamente, sarò punito.
Dribblati gli inopinati autovelox di Sesta Godano, ci rendiamo conto che lo spruzzatore usato dal buon Dio dev'esser stato di alquanto generose dimensioni. I monti sono bianchi di neve. Ci ostiniamo a sperare in una glassa sottile.
Arriviamo al Passo dei Due Santi (in arte Zum Zeri, absit injuria verbis) che, come posto, ricorda un po' le acciaierie di Cornigliano o una cava abbandonata. Per dirla con Guccini: triste come l' erba di scarpata ferroviaria.

Setup, partenza: speriamo di levarci presto da questo orrore. Non è ancora AVML, ma un raccordo che la collega alla GEA.
Si sale a fianco alla pista da sci. La neve c'è, eccome, quel tanto che basta da farti faticare il 50% in più e, qua e là, sprofondare sino a mezza tibia.
Superata la sommità delle piste, tocchiamo la discretissima vetta del M. Tecchione (e intanto siamo già a 1583), 
poi traccheggiamo sino al Focetto (1460 metri), dove ci congiungiamo all' AVML.
Sin qui pestiamo neve e basta; c'è anche qualche sprazzo di panorama, ma faggi e maccaja lo rendono tutt' altro che memorabile.


Confermando la mia consolidata strategia per realizzare la massima durata dei materiali da montagna, lascio le ghette nello zaino in attesa del momento in cui sarà ormai del tutto inutile mettersele.
La gita viene allietata da Gromit, il quale scopre un' insana passione per le gambe di Mr. S., che assillerà per le seguenti 6 ore di cammino organizzando geniali aggiramenti per prenderlo alle spalle nei momenti più inopportuni.
Solo M., che probabilmente ha dei precedenti come domatore di belve assatanate, riesce a metterci una pezza.
Il sentiero ci scherza e precipita a poco meno di 1300 metri dove la neve finalmente ci lascia. Risaliamo alla Foce dei Tre Confini (1408), cioè al bivio tra la variante bassa e quella alta dell' AVML.
Con modestia pari alla simpatia, M. rifiuta di strafare e si esime dall' ultima rampa.
Sbuffando strisciando scivolando, annaspo dietro S. e raggiungo la vetta (1639), dove la croce, come Gromit, ha avuto un colpo di fulmine.


Panorama solo discreto causa foschia. Mangio il minimo indispensabile, apro con circospezione lo scolapasta che mia figlia si ostina a chiamare borraccia, e cerco di reintegrare gli ettolitri di sudore nebulizzati su e giù per il sentiero. Mi lascio un quartino di riserva.
In discesa, Gromit, infoiato di selvaggia lussuria, decide di spararsi tutte le sua cartucce.  Il povero S. lascia lungo tutto il ritorno una scia di urlacci che non tracimano nelle vie di fatto solo per il suo eccessivo buon cuore.
Scivolando strisciando sbuffando, ridiscendo dietro ad S. sino alla Foce dei Tre Confini, dove – giustamente – non ritroviamo M., che si è avviato per il ritorno.
La prima risalita mi fa subito capire che aveva ragione lui. Ho esagerato, mi sembra di avere due tronchi d' albero al posto delle gambe e invano tento di rimediare allentando le due ginocchiere da Forrest Gump.
Con infinita pazienza, S. sopporta il mio incedere fantozziano lungo le risalite; e menomale che un bel po' di neve si è sciolta sennò a quest' ora scriverei da sotto un faggio col Blackberry.
Gromit tenta gli ultimi assalti, poi, sdegnato dal rifiuto della sua Giuletta di giornata, ci precede sculettando nell' ultima discesa lungo la pista da sci.

Constatiamo di aver percorso 20 km e tra andata e ritorno e circa 1200 metri di dislivello; il che è effettivamente un bel po' al di sopra del mio budget attuale.
Intanto, il colabrodo ha fatto uscire il quartino di riserva. I rimasugli di formaggio e prosciutto galleggiano nello zaino, malinconici come il cuore ferito del mio amico a quattrozampe.
Il quale, as usual, rifiuta recisamente di salire in macchina.
Ignora, però, che dalla mia ci sono però millenni di evoluzione.
Gli passo accanto facendo finta di niente; e, mentre lui si rilassa, immantinenti lo agguanto, lo sollevo e lo schiaffo nel bagagliaio della Zafira.
Questa è una terra di amore, pace, giustizia, e nessuna pietà.






 

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