Cavoli, streghe e panforte.


Ci sono tentazioni cui un uomo non sa resistere.  Ci vengono mandate per metterci alla prova. E noi, miseri peccatori, cadiamo. A chi la mela, a chi il bunga-bunga. A me, i cavoli gratinati. E così, anch’ io sono caduto; non una sola, ma per ben tre volte sabato sono caduto. E per questo sono stato punito, punito duramente con nausea, inappetenza e giramenti di testa; e solo una terapia d’urto a base di Moretti ha riportato, sulla via del ritorno, stomaco e testa ai posti loro.


Venerdì, disillusa ricerca di compagni di merenda; li trovo, insperatamente, nelle persone di S. Paolone e di S. Matteo, vecchi discepoli di roverismo. Compulsiamo le previsioni che ipotizzano maccaja sui versanti marittimi, condita da nubi basse sotto i 1000. Decisione rimandata a domenica mattina con Punta Martin in pole ed il Galero come piano B. Evito di tirar troppo la corda con Dio e con gli uomini proponendo la farneticante altavia del Gorzente - da Marcarolo al Turchino via Osteria Chelinn-a.

I cavoli non portano consiglio, ma  vaghi effetti allucinogeni. Dalla sopraelevata immagino nuvolaglie inesistenti, così puntiamo decisi verso ponente. Dove, come ovvio,  è invece coperto sul serio. Non ci facciamo intimidire nemmeno dalla nebbia bormidana e spuntiamo increduli in un cuneense da cartolina proprio nel momento in cui stiamo per improvvisare un’inversione ad U.
Strappati tre caffè al cugino tagiko di Borat, puntiamo eroicamente alla Colla di S. Bernardo, dove  ci accolgono un inquietante parco eolico, un caldo africano ed un incongruente strato di  verglas sullo sterrato dell’ alta via.
Azzardiamo sommesse lamentele; la nemesi, puntuale, colpisce.
Il verglas diventa neve non trasformata in cui, sbuffando, sprofondiamo sempre più.
Per principio non metto le ghette, quanto alle ciaspole ho già provveduto ad abbandonarle in auto.
Gromit mi guarda, commisera (non sa che ho io il suo cibo)  e tira dritto.

Poco più in su raggiungiamo una coppia di escursionisti: i due, marito e moglie, vanno per la settantina. Lei galleggia staccata di un centinaio di metri dal marito, che sta palesemente cercando di liberarsene; a guastar la festa sopraggiungiamo noi che impediamo all’ aspirante uxoricida di abbandonare la dolce metà su un ripido pendio verglassato.
Sin qui abbiamo scherzato, salendo  si e no di 200 metri, e stiamo per pagarla. L’ AVML lascia la carrareccia per prendere un sentiero che all’ inizio obliqua con nonchalance in una faggeta che proprio non mi dice niente, per poi trasformarsi in una rampa tagliagambe.
Sviluppo orizzontale, inesistente; nel frattempo si salgono, però, 300 metri e così il nostro Landru di provincia cerca di piazzare la zampata vincente: scatta come una lepre e lascia la vecchia sola  nel bosco a gridargli se è sicuro del segnavia; lui, intanto, cinicamente allunga sempre più il passo per sparire definitivamente dietro la spalla che ci sovrasta.

I cavoli intanto cominciano a farsi sentire. 
Un po’ per discrezione ed un po’ per debolezza rallento e mi stacco all’ indietro, facendo riecheggiare la valle di rumoracci assortiti. Fantozzianamente, avverto giramenti di testa, gambe molli e l'ovvia salivazione azzerata.
Per fortuna il tormento è breve: la bellissima (?!) faggeta lascia il posto a qualche conifera; poi, in fondo ad un tunnel di abeti si vede un raggio di sole.
Spuntiamo in costa, ho lo stomaco negli scarponi e a malapena butto giù un po’ di panforte.



Di lì proseguiamo verso la cima.


 


Come il grande Messner comincio a vedere un mio doppio che mi incita ad avanzare, solo che quello davanti a me è il Galero e non il Kangchenjunga. Venti passi e uno stop. Venti passi ed uno stop. Stoicamente, con il samaritano S. Matteo raggiungo S. Paolone in vetta.

 


I due quasi sposini ratellano  a fil di cielo. Lui valuta i possibili precipizi in cui scaraventarla.
Pranzo con un altro pezzettino di panforte, e mi vendico della sufficienza con la quale mi ha trattato  Gromit, al quale non cedo nemmeno un tozzo di pane secco, spernacchiandolo.
Scopro che l’ unica neve del versante che abbiamo percorso è quella sulla strada. Mezzo metro; di lato, erba. Ripenso a tutti i miei peccati.
Rotolo verso la macchina combattendo con i crampi e con Gromit  che si vorrebbe fidanzare con la gamba destra di S. Matteo.
Apro l’ auto e mi consolo: non ho sporcato le ghette e le racchette sono già a posto, pronte per essere riposte nell’ armadio. Grande, grandissima strategia.
Dei due vecchietti non c’ è traccia.  


PS: bello il tratto in cresta, bellissimo il panorama dalla vetta. Il resto, oggettivamente è irrilevante. In zona, molto meglio un bell' anello intorno all' Armetta (stando sul versante marittimo)

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