Piccola siberia al Faiallo

Per tutto l' autunno, Giove Pluvio ed improvvise vocazioni all'olivicoltura avevano implacabilmente frustrato ogni velleità escursionistica

Con ritmicità similmestruale ogni sabato o domenica piove. Il sole, beffardo, riappare puntualmente il lunedì mattina.

Arriva dicembre. Con sadica precisione, impegni familiari, di lavoro e le dannate olive si danno il turno nei 3-4 giorni di sole dei week-end.

Divento una specie di malinconico guardone che passa le domeniche a scartabellare i vari Capecchi ed a concepire improbabili enchainements da Capanne di Marcarolo al Turchino.

Dopo svariatissimi tentativi andati tutti miseramente a torcio, le previsioni meteo fanno balenare la possibilità che S. Stefano sia una bella giornata. Si scaldano i motori (richieste di pass alle mogli, monitoraggio 24 ore su 24 di webcam appenniniche, recupero attrezzatura da gita invernale che scopresi esser puntualmente finita nella soffitta dei suoceri, che dista 30 km da casa tua).

Falso allarme. Il beltempo shifta al 27.
A Natale scambio di auguri, andiamo? Ok.

Contatto velocemente i colleghi di studio (i quali certamente mi danno per impazzito, sbronzo o tutt'e due le cose assieme) ed avverto che il 27 prendo festa. Immagino sorrisi di compatimento.

Il 26 fa una spruzzata, ciò che mi fa propendere per la straripetuta ma sempre charmante Faiallo-Pra Riundo. Immagino un quasi-messneriano 4x1100 toccando in invernale - e senza bombole! - Reixa, Argentea, Rama e Sciguello.

Arriva il 27 mattina. Sveglia alle 6.30, procedura standard.

Gromit – che di lì a poco scoprirò saperla molto più lunga di quel che sembra - prima fa finta di dormire, poi cerca di impietosirmi tremando come una foglia. Sono inflessibile e lo carico di peso nel bagagliaio.

Arriva Aldo.

Mentre andiamo verso Masone mi viene un dubbio: è nevicato ieri, si saranno ricordati di pulire la strada del Faiallo? Capisco immediatamente che la domanda è retorica: Murphy docet. La risposta, ovviamente, è: NO. Dopo 3-4 km dal Turchino la povera Zafira inizia a slittare e non c'è modo di andare avanti. Le catene? Certo che le ho, ma in garage e comunque nessuno si fermerebbe a metterle con -6, vento teso e nebbia.
Gromit sogghigna nel bagagliaio, pregustando l' amato termosifone della cucina. Indispettito, decido di non dargli soddisfazione.
Decidiamo di provare a passare da Tiglieto e Vara. Stessa storia. Arriviamo a Vara e lì ci blocchiamo. Partire da Vara? Certo, ma il tempo è pessimo e se nevica, senza catene, rischiamo di aspettare lì il disgelo.

Altro dietrofront. Ci dirigiamo – Dio ci perdoni! - a Sciarborasca.

Raggiunto così in sole 3h 30' di macchina l' attacco del sentiero (che trovasi a circa 50 km da casa) cominciamo a scarpinare. Altro clima, altro mondo. Cielo azzurro, poca neve (5-10 cm.) prima a chiazze e poi non più. 



Salgo in maglietta (termica) almeno sino a quando non si arriva intorno ai 900 metri, quando comincia a farsi sentire un po' di vento, poi un po' di più… 





Gli alberi sono carichi di galaverna.





Qualche tratto ghiacciato.

Alle 13 si comincia a sentire un leggero ma penetrante tanfo di frittura esausta, conferma del fatto che stiamo sbucando a Pra Riundo, che è nella sua più bella livrea invernale. 


 Penso sarebbe onesto fare almeno un salto sullo Sciguello, ma Gromit (che continua a saperla lunga) allunga con decisione verso il rifugio, entra e si acuega vicino alla stufa.

Che fare? A malincuore, rinunciamo all' invitto montarozzo: ripieghiamo su due porzioni di ravioli al ragù di cinghiale ed una caraffa di dolcetto. Caffè, bombardino e pronti per la discesa – ghiaccio e cartilagine non permettono velocità o buio.

Il liquore bollente rende quasi impecettibile il blizzard che ci soffia ora alle spalle. Gromit, accaldato, si fa un bagno nel ruscello. Fuggiamo prima che si scrolli. 


La macchina ci attende, indifferente alle nostre sventure.
Gromit si rifiuta di salire. Lo carico di peso. Mi guarda commiserandomi.

L' effetto del bombardino svanisce.

Sto ancora battendo i denti.














 

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