Giocare il gioco




Ieri sera, ultimo incontro 2014 del Café Philo.
Ancora una bellissima serata, per le persone, per il modo di stare insieme, per le cose dette.
Abbiamo fatto un bell'esercizio di confronto sui "luoghi comuni".
Ogni tavolo ne sceglieva uno da un elenco e poi provava a commentarlo assieme.

Noi, pigramente, abbiamo scelto di discutere il primo della lista, qualcosa tipo “tanto non cambia mai niente”.
Naturalmente abbiamo parlato malissimo di questo luogo comune… pessimista, demotivante, auto assolutorio… e chi più ne ha più ne metta.

Come da filosofeggianti che si rispettino, ognuno poi si è portato a casa i suoi pensieri.

Provo a condividere i miei... 

Ma è poi vero che alla fine tutto va sempre allo stesso modo?
Sembra che tempo fa questo luogo comune, o presunto tale fosse già in voga:

Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità, tutto è vanità.
Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno
per cui fatica sotto il sole?
Una generazione va, una generazione viene
ma la terra resta sempre la stessa.
Il sole sorge e il sole tramonta,
si affretta verso il luogo da dove risorgerà.
Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana;
gira e rigira
e sopra i suoi giri il vento ritorna.
Tutti i fiumi vanno al mare,
eppure il mare non è mai pieno:
raggiunta la loro mèta,
i fiumi riprendono la loro marcia.
Tutte le cose sono in travaglio
e nessuno potrebbe spiegarne il motivo.
Non si sazia l'occhio di guardare
né mai l'orecchio è sazio di udire.
Ciò che è stato sarà
e ciò che si è fatto si rifarà;
non c'è niente di nuovo sotto il sole.
C'è forse qualcosa di cui si possa dire:
«Guarda, questa è una novità»?
Proprio questa è già stata nei secoli
che ci hanno preceduto.

Se ci pensiamo bene, da allora ad oggi, forse è cambiata la scenografia, ma gli attori fanno sempre, più o meno, le stesse cose. Oggi come allora ci sono persone enormemente privilegiate ed altre che vengono sfruttate.  Oggi come allora il potere è in mano a pochi che nella maggior parte dei casi lo usano per i loro scopi personali.
E noi, che filosofeggiamo, ci facciamo, più o meno, le stesse domande che i nostri avi si facevano 2500 anni fa, e abbiamo le loro stesse difficoltà a trovare una risposta
Tutto inutile, allora?
No, perché sul palcoscenico ci sono sempre attori diversi. Che entrano in scena, recitano la loro parte, quale essa sia ; e la recitano più o meno bene, ma la recitano comunque in prima persona.  Anche se il copione è sempre  quello, anche  se lo sfondo cambia solo per dare un tono di novità alla commedia, ogni attore ci mette qualcosa di suo, di unico e di irripetibile.  E quando, finita di recitare la sua parte, scende dal palco non è più la stessa persona di prima.
Dunque è vero:  nulla cambia.  “Questa è la commedia, questo è il teatro, questa è la vita… “.
Ma, contemporanemante, è altrettanto vero che tutto – o almeno il tutto che conta per davvero -  cioè  noi, protagonisti o comparse, invece, cambia.
Tutto cambia, perché il tutto non sono le filosofie, non sono le ideologie, e alla fin fine nemmeno quello che è l’umanità nel suo insieme. Lo scopo di tutto, sono gli individui, le persone che – bene o male – nascono, vivono, muoiono. E in ogni singolo attimo della loro vita, cambiano.
E forse vale la pena di guardare le cose con un occhio diverso: il mondo e la nostra stessa vita sono semplicemente un terreno di  gioco in cui ci troviamo a giocare la nostra parte. Sono un’occasione per crescere e per cambiare. 
Qualunque sia oggi la scenografia che ci viene messa alle spalle

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