La maglia nera dei «Tremila»

Dopo la cialtronesca gita al Col Longet, risoltasi in una vergognosa scampagnata merendera, le coscienze erano decisamente sporche.

A mezza settimana, L. linka una relazione che racconta di due misteriosi tremila dell’ alta Val Maira, tali Cialancion e Ciaslaras, promessi come  fattibili in un’unica passata al modico prezzo di 1400 mt. di dislivello. Apparente autore, il ben noto mairologo Bruno Rosano.
Si tratta, all’evidenza, di un clamoroso fake;  tutto lascia pensare che ne risulterà la più classica delle ravanate su e giù per qualche schifo riarso. Sicuro che le due cime dagli improbabili nomi da comici occitani esistano solo nella diabolica immaginazione di qualche mitomane, nicchio.
L., invece, manifesta una convinzione quasi fideistica, e linka pure qualche foto.
Quella che secondo L. sarebbe la prova decisiva, si risolve in un paio di immagini di  anonime pietraie, più o meno arroventate, che potrebbero esser state scattate anche sotto il Ragola.  
Segue, poi, una cartina (palesemente autocostruita e del tutto priva di legenda) che riporta in nero grassettato quella che secondo L. sarebbe la traccia verso la prima delle due vette immaginarie.
Sentendomi in colpa per la gita precedente, abbozzo e mi rassegno all’inevitabile.

A., che vive nelle Badlands del cuneese, decide di aggregarsi. Ci diamo appuntamento alle 6.45 in quel di Dronero.
Gromit, intanto, elabora le sue squallide trame, ed induce la mia dolce metà a proporre la sua irrifiutabile candidatura a quarto membro della spedizione. Manifesta, però, tutto il suo sdegno quando, alle 5 del mattino, si tratta di salire in macchina. Come di consueto, lo carico di peso nel bagagliaio.

Le vie del cuneese sono più o meno come quelle del Signore: infinite, ed a noi oscure. Il viaggio si trascina scandalosamente per quasi 3 ore.
Il ritardo assume connotati ferroviari; e, trattandosi di appuntamento con un’esponente del gentil sesso cominciamo a temere per la nostra fisica incolumità. Mi porto avanti elaborando patetiche storielle da impiegare, secondo necessità, per giustificarci. La soluzione più credibile mi pare quella di raccontare che ho sofferto la macchina, in quanto la guido in un modo ignobile.
Arriviamo a Dronero con un ritardo degno di un regionale veloce. Alle 7.45 A. si imbarca con un’ espressione alquanto perplessa.
All’alba delle 9.20 (!) lasciamo l’auto a quota 2005 e cominciamo a camminare verso il Col Maurin, il che mi rassicura alquanto: sulla sua reale esistenza non dovrebbero esserci soverchi dubbi.
La partenza


Il coraggiosissimo Gromit esegue chilometrici aggiramenti delle vacche che pascolano commentando, allibite, le stranezze del mio cane

Mulattiera per il Col Maurin

Il Pertus

Poco sotto il colle, secondo la fantasiosa relazione nella quale L. ripone la sua incrollabile fede, dovrebbe staccarsi la traccia per il Cialancion.
Non intendendo addentrarmi in quello che si rivelerà una sorta di triangolo delle Bermuda d’alta quota, dichiaro che rinuncio alla prima vetta, sembrandomi assai più interessante la seconda, la quale ha la pregevole ed irripetibile caratteristica di essere la maglia nera dei tremila cuneesi: non ce ne sono di più bassi! Non posso perdermi un simile record!  Voglio salire il più basso tra i monti più alti!
Con la coda dell’occhio, intanto, osservo i due compagni di gita che disegnano improbabili traiettorie per prati e pietraie, cercando non funghi, ma ometti.
Io e il quadrupede raggiungiamo invece il colle Maurin (primo dei tre di giornata), valico che, a seconda dei gusti e dell’umore, si può quotare 2633 o 2641 metri.

Al Col Maurin
Mangiucchio un po’ di uvetta e comincio a ragionare dei massimi sistemi. È già mezzogiorno e calcolo che se gli eroici esploratori non ricompaiono entro l’ una, arrivare in vetta rischia di diventare un po’ complicato.
La vetta del Ciaslaras e l'omonimo colle

In effetti verso le 12.30 i due rispuntano lemmi lemmi, giustificando la ritirata con misteriose apparizioni e sparizioni di ometti sulla pietraia; il che conferma i  miei sospetti.
L. propone – guardacaso – uno spuntino, che lui stesso rifornisce con fichi (ma sembrano piccoli cactus verdi un po’ schiacciati) e pomodori autocostruiti. Dopo averli mangiati, ci sentiamo ‘nzacco bene e partiamo baldamente (il sentiero è quasi in piano) verso il Col Marinet.
Per raggiungerlo, circumnavighiamo un po’ di mammelloni erbosi.
Col de Marinet

Attraversiamo un pendio di pietraie ed arriviamo sotto al Colle Ciaslaras, che raggiungiamo industriandoci su per un sentiero – diciamo così – un pelino franoso.

L'ultimo tratto del sentiero per il Colle Ciaslaras
Lungo la salita incontro svariati alpinisti famosi, tra cui Bonatti che – vistosamente confuso - mi spiega dove ha messo le bombole; penso che il caldo gli abbia dato alla testa e decido di continuare la salita anche perché al colle mi sta aspettando Sophie Marceau con un tanga ridotto all’osso.
Intanto, la povera A., con una caviglia malconcia,  si trascina su per la fetida rampa alla bell’e meglio.
Gromit, nel frattempo, ha individuato nella tapina il suo obiettivo di giornata: aspetta spietatamente il primo attimo di debolezza e sferra il suo proditorio attacco.  Per dividerli, ci vuole del bello e del buono.
Quando arrivo al colle, la Marceau se n’è già andata; in compenso, la pietraia continua ripida sino alla vetta, dove però si staglia contro il cielo un’autopompa della Guinness.  Mi sento incentivato a continuare di buona lena.
Pochi metri dopo, sopraggiunge una signora, la quale dichiara di divallare causa impraticabilità di campo. Precisa che sopra il pendio è davvero brutto, ed anche esposto. Mentre sto per suggerirle di aspettare Bonatti, vedo L. che, una decina di metri più in alto, passeggia serafico. Dalla punta, il marito della tizia caccia un paio di urli invitando la sua gentil consorte a salire, ma seguendo –stavolta- il sentiero. La gianduoiotta esegue e così ci ritroviamo tutti in punta.

Panorama dalla vetta: il Vallone dell'Infernetto con Tete de la Frema, al centro e, in secondo piano, la vetta del Brec de Chambeyron

Altro pezzetto di panorama con la Tete de l'Homme - a sinistra.

Dato l’affollamento (L., A., i due piemontesi, la loro cagnolina e Gromit – Bonatti si sta facendo aspettare) mi fermo un paio di passi prima della vetta, consapevole del fatto che probabilmente solo la mia metà superiore ha superato la fatidica soglia dei 3000.
In ogni caso è fatta. Ho anch’io il mio record. Sono salito sul 3000 più basso. Sono la maglia nera delle vette, il Giuseppe Ticcozzelli dell’ escursionismo!
Gromit, aregagito dall’ alta quota, non ha dubbi: tra la cagnolina e la sua padrona, sceglie la seconda, e le zompa addosso tra lo sconforto generale.
Con una mossa di wrestling libero l’esterrefatta signora dalle effusioni del suo spasimante, dopodiché tento di salvare le apparenze con un’ardita spiegazione etologica, illustrandole che il mio cane non è un pervertito, ma voleva solo imporre la sua dominanza – comportamento, questo, del tutto normale.  Non ci crede neanche per un attimo. La cagnetta, intanto, ferita nell’amor proprio, comincia sdegnosamente la discesa verso il colle.
Guardo l’orologio, che implacabile, mi comunica che sono le 15, cioè tardi.
Comincia il calvario della povera A., che prima si distrugge giù per il ripido sentierino e poi non riesce che a trascinarsi alla bell’e meglio per il vallone che ci riporta alla Zafira.

Il Vallone dell' Infernetto. Il sentiero del Colle Ciaslaras scende la valletta pietrosa marrone a destra delle rocce

Il più basso dei Laghi dell'Infernetto. A destra, controluce, il Colle dell' Infernetto

La serie di guglie e pinnacoli che divide i due rami del Vallone dell'Infernetto

Panoramica del vallone di discesa.

Giove Pluvio, esasperato dalla nostra lentezza, minaccia severi castighi.  Il temporale, però, decide di prendersela con l’ Oronaye e riusciamo ad evitarlo per un pelo e raggiungiamo lo sterrato dove un malinconico asino aspetta mestamente che inizi a piovere. Scambiati i convenevoli di rito, lo lascio al suo destino e ritorno al punto di partenza.
Sono le 19 quindi siamo in giro da quasi 10 ore. Roba da non credersi.
Zompiamo in macchina.
Decido di non caricare Bonatti, che sta facendo l’autostop prima del ponte, e mi dirigo a tutta birra (è il caso di dirlo) al bar di Chiappera dove chiedo se abbiano visto passare un’autobotte nero-oro. Avuta risposta negativa, ripiego sulla classica Moretti.
Lasciata la povera A. a Dronero, L. lancia la funzione anti-code del suo navigatore. Si tratta di un programma geniale: in pratica, il GPS ti fa vagare alcune ore per le strade secondarie del cuneese; tutti gli altri automobilisti, nel frattempo, giungono a destinazione. In questo modo, si trova l’autostrada sgombra e la classica coda di Albissola viene evitata nel 98,7% dei casi.
E così, evito il  traffico e, senza alcun intoppo, arrivo a casa alle 23.00.-
Mi aspettano i ravioli di zucca ed un rinforzino di formaggetta.
Niente fichi.
Dov’è finito Bonatti?

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