Le sirene del Col Longet

La misteriosissima diaspora dolomitica di S. & M. ci lascia contati.
L., nel frattempo, lancia geremiadi lamentando la sua frustrazione di vettaiolo represso, pari solo al suo olimpico stato di forma, e si riserva di verificare i suoi umori prima di decidere se muoversi o meno nel fine settimana.
Sul tavolo, un ventaglio di destinazioni.
Nel frattempo, incontro P. che si dice forse disposto a far qualcosa.
Gli butto lì qualche destinazione – Losetta, Pienasea o Falconetta. 
Senza colpo ferire, sega ogni ipotesi valdostana per l’eccessiva lunghezza del viaggio – manco la Val Varaita cominciasse ad Uscio.
Sull’altro fronte, L. continua nei suoi rovelli.
Dopo frenetiche consultazioni, si va in Val Varaita.  Esclusa anche la Losetta a causa della pallosità ed insignificanza dell’orizzontale Vallone di Soustra, sopravvive all’inquisizione di P. la sola Pienasea. In cambio, viene accettata la (inevitabile) partenza alle 5. Sul filo di lana, si schiera anche M.
Il torpedone parte alle 5 da Recco, alle 5.20 carica L. a Ge-Est e ai 40 ultima sosta a Pegli per far salire T.
La sosta colazione ad Altare, strenuamente richiesta da L. e la successiva sosta GPL in un imprecisata area di sevizio nei bricchi dell’A6 dilatano i tempi di viaggio.
Arriviamo a Chianale che son già le 8.30.  Dispettosamente, facciamo tutto il casino possibile svegliando svariate famigliole di merenderos rintanate con le rispettive suocere nei loro camper.
Si sale su un bel sentiero, prima nel bosco e poi su un pendio erboso; 


e, all’inizio, teniamo la nostra media da bravi escursionisti.
Doso prudentemente le energie calcolando che sino in cima fanno quasi 1400 metri al netto di IVA.
Dopo un po’, appare purtroppo il primo lago.



Dico purtroppo perché a quel punto l’ equipaggio si sbanda. I miei compari cominciano a vagare qua e là scattando infinite foto a cime, fiori, laghi, laghi fiori, cime; perplessi abitanti delle praterie d’alte  quote vengono a controllarli da vicino con l’aria di chi chieda chiarimenti; e non c’è nemmeno un Gromit qualsiasi a rimetter un po’ d’ordine.



Mentre i tre Folco Quilici d’accatto vagano con un sorriso ebete da una pozza all’altra, il tempo passa e siamo a mezzogiorno, il che significa tre ore e mezzo invece che due.
Ipotizzo che, dal loro nebbioso eremo dolomitico S. ed M. ci abbiano mandato qualche macumba rimbambente; o, più pragmaticamente, la presenza nel primo lago di qualche pettoruta sirena capace di incantare i miei tre rattusisssimi amici.
Sotto il bel sole del mezzodì, P. completa l’opera.  
Individuata una macroscopica deviazione per il Colle del Lupo, la imbocca, salvo perder la traccia nel giro di venti metri spesi nel letto di un laghetto dismesso.  



I tre compari iniziano a vagare per la prateria del Col Longet, ciascuno alla ricerca del proprio senno perduto.


P., che immagina di aver ritrovato il suo, fa capire di non ritener possibile l’ardita ascensione alla Pienasea.
Il resto della truppa, dopo aver visitato un altro laghetto annuisce convinto confermando di trovarsi in un posto tanto bello da valer da solo la gita. 


Ripensando alle avventure dell’omerico eroe, immagino ulteriori similitudini con la nostra, ma non avendo un albero maestro al quale farmi legare, tiro fuori la pancetta e la attacco senza esitare.
L., che nel frattempo ha visto sciogliersi come neve al sole tutti i suoi dispiaceri di represso conquistatore di vette, eroicamente lamenta l’assenza di un baretto in cui calarsi un bel cafferino postprandiale.
Svaccati al sole lasciamo arrivare le 14; decidiamo di divallare, con calma, e scattando ancora qualche foto qua e là.


 
Si apre un dibattito sui pescatori che salgono a frotte verso i laghetti. M., che è uomo de panza, spiega pazientemente come i valligiani li riempiano di trote d’allevamento. Ipotizzo che lo sballottamento a dorso di mulo abbia provocato mutazioni genetiche dei disgustosi salmonidi, trasformandoli nelle inebetenti creature che hanno stregato i miei sventurati compagni.


Trovata così idonea spiegazione alle stranezze di giornata, mi lancio in un appassionato dibattito sulle osterie della riviera di levante con un L. ormai definitivamente dimentico di ogni sua malinconia escursionistica.
Il viaggio di ritorno è, ovviamente, omerico.
A fatica convinco P. ad una sosta-Moretti in quel di Pontechianale.
Soggetti lombrosiani ci guardano storto mentre, con sospiri malinconici, ripensiamo alle bellezze solo intraviste e poi svanite nelle acque d’alta quota.
Scesa la valle smeraldina, il navigatore autocostruito di L. e le ipotetiche cognizioni da ex trasfertista di M. ci fanno apprezzare quanto sia davvero granda la provincia di Cuneo.
Per dispetto, accendo il riscaldamento del sedile del guidatore, che si lamenta dell’improvviso scoppio dell’estate.
Dopo un paio d’ore, imbocchiamo l’autostrada.
La coda è evitata, la domenica in spiaggia no.
Semiinebetito dal bollore, intravvedo qualcosa che si muove sulla battigia. Il cuore si stringe.
I 90 chili della suocera del vicino emergono lentamente dalle onde.
Riapro la Gazzetta.
Possiamo ancora comprare Mister X.

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