Il Golgota dell'escursionista


Abbandonata l’idea della due giorni, decidiamo per una partenza comoda e, quindi, appuntamento alle 4.30 a Genova Est.
Gromit, recidivo, rimane al palo a rimuginare sulle svariate malefatte della domenica precedente.

Esco da casa alle 4.15, in piena fase REM. Indovino in modo fortunoso la mia macchina e la scaravento a Ge-Est, dove mi aspetta S., che per la verità non mi pare se la passi granché meglio.
Tra la soluzione veloce (Zafira ed il sottoscritto al volante) e quella economica, optiamo per la seconda, e quindi ci imbarchiamo sul Lupetto ricarrozzato Mégane di S.  

Il pilota dimostra sin da subito le sue virtù: ignorando bellamente tachimetro ed orologio, mantiene il consumo istantaneo ben al di sotto della soglia di sicurezza dei 5 lt. / 100 km. 
A Masone, mi accorgo che siamo seguiti. Nello specchietto, vedo un gruppetto di paesani in gramaglie.  Subito dopo, dall’area di servizio Valle Stura si immettono – adeguatamente lubrificati - parroco e banda.  Sulle note della trionfale Noi Vogliam Dio, approfittando della discesa sfioriamo - per qualche attimo - i 40 all’ora.  I più anziani cominciano a perdere terreno.  Le prefiche più convinte le staccheremo solo verso Casale, dove sfrecciamo a quasi 4,8 lt./100 km.  Parroco e banda, smaltita la ciucca, danno l’ultimo saluto alla Netìn de Nascio sotto un cavalcavia della A4.
Nel frattempo, S. distratto dalla guida a velocità a lui del tutto sconosciute, ceffa il bivio per Torino. L’uscita successiva è Casale che dista 22 km. Andata e ritorno fa 44. Chiediamo lumi al navigatore, che – essendo un modello escursionistico – ci conferma che il percorso migliore è quello per il Passo della Spingarda.

Arriviamo a Bardonecchia alle 8 meno qualche minuto, dopo aver regalato al Sig. Benetton circa 150 euro di autostrada. Non c’è anima viva, aperto solo un bar da yuppies dove lascio tutto quel che mi rimane per un caffè al gusto di spago ed una brioche semicongelata.
Coerentemente, saliamo al Colle della Scala in sesta marcia a 85 km/ora per tener bassi i consumi.
Discesa, ovviamente, in folle, ed eccoci a Névache e, poi, agli Chalets de Laval.

Il setup rivela un paio di tragiche dimenticanze. Ho lasciato a casa solette degli scarponi ed  occhiali da sole. Per le prime, mi arrangio; dei secondi, decido molto virilmente di fare a meno.
Alle 8.30, ci incamminiamo su una sterrata che non vuole assolutamente saperne di guadagnare quota. 

La Main de Crepin

In tre chilometri, arriviamo alle viste del Rifugio Drayéres. Da un casetto di pastori esce a tutto volume musica hip hop.
Superiamo il Pont de Pierre (che ovviamente consiste in due putrelle metalliche con tavolato in legno)


Pubblicità ingannevole

ed attacchiamo uno svogliatissimo sentiero che con pigre svolte ci porta prima al Lac de La Clarée

Lac de la Clarée

 e poi al Lac Rond.

Lac Rond

 Altra salitella innocua, con vista sul Lac du Grand Ban

Lac du Grand Ban

 e siamo al Col des Cerces.
Il piccolo problema è che ci siamo già sparati 8 degli 11 chilometri di sviluppo, ma restano ancora 500 metri di dislivello. La situazione non migliora andando avanti: il sentiero si imbarca in un traverso perdigiorno che quasi non guadagna quota.
Comincio a preoccuparmi, e ne ho ben ragione.
Sotto l’implacabile sole di mezzogiorno, spuntiamo a circa 2650 metri alla base di una specie di deserto verticale di terriccio e sfasciumi su cui il sentiero s’inerpica senza troppi complimenti.


Percorso di salita, vista dai pressi del Col des Cerces

 Invio silenziose maledizioni all’anonimo tracciatore dell’ ignobile rampa. Convinco S. ad andar su con il suo passo e vedo di seguirlo con il mio.  
Ricorro all’arma della disperazione, adottando la tecnica di Messner.  Faccio 30 metri di dislivello, mi fermo a rifiatare, e via così. L’altimetro, seccato, comincia a sfottere e mi segnala che sto salendo di 900 mt/ora.
In ogni caso, la vetta è lì, o quasi.  Striscio sino in punta, sotto lo sguardo condiscendente di un gruppo di gitanti francesi che mi devono aver preso per il cugino genovese di Gollum.  I tipi occupano tutta la zona intorno al cippo impedendo a chiunque (compreso il sottoscritto) di farsi la classica foto di vetta.

Dalla vetta della Pointe, panorama verso il Delfinato


Io, però, ho dell’ altro a cui pensare. Dentro di me, prima indistinto, ma poi sempre più chiaro e forte, comincio a sentire il richiamo della Moretti, che mi induce ad imboccare senza troppe esitazioni la discesa.
La rampa finale, fatta dall’alto, non migliora di molto. Rivivo tutte la cartella clinica delle mie ginocchia e scopro, con grande precisione, a cosa servano le solette negli scarponi.

Lac des Cerces, visto dal traverso tra il Col des Cerces e il pendio terminale della Pointe

 Il tratto dal Col des Cerces sino all’auto si rivela una lunghezza pari solo alla bellezza del paesaggio, che con la luce radente è davvero incantevole.

La Val de la Clarée tra il Ref. Drayères e gli Chalets de Laval

Un francese cordiale ci rivolge la parola in italiano. Controllo di non essere in preda alle allucinazioni da fatica.

In auto, assumo il controllo delle operazioni, autonominandomi GPS del viaggio di ritorno ed imponendo al povero S. di attenersi scrupolosamente alle mie indicazioni.
Che contemplano, anzitutto, l’improcrastinabile pit-stop per un’annacquatissima media alla spina.
Sperperiamo quel che rimane dei nostri conti in banca per pagare gli svariati tagliagole che ci attendono tra Bardonecchia e Torino. Impoveriti di svariate decine di euro imbocchiamo, finalmente la Torino-Alessandria.
S., destreggiandosi, riesce a non perdere la scia di un tre ruote Bremach, risparmiando così ulteriore gasolio.  La discesa avviene alla media di 0,75 lt/100 km.
Sul viadotto del Turchino, mi accorgo che siamo seguiti.  Il Cristo Moro da 148 kg  precede la Cassa con la Madonna del Suffragio.  Il primo Cristezante ci supera, mandandoci a quel paese, sull’ elicoidale poco sopra Voltri.  Veniamo sorpassati anche dalla Baracchetta di Biagio e da un paio di anziani che, sulla seggiola a rotelle, stanno rientrando in istituto dopo la gita domenicale.
All’alba delle 21.45 atterriamo a genova est.

Avviso la consorte di buttare la pasta, che in questo caso si identifica con i ravioli di zucca non consumati domenica scorsa.
Il comitato di accoglienza è organizzato da Gromit, che ha finto per tutto il giorno di soffrire in modo insopportabile il caldo. Mia moglie, indignata, mi cicchetta per l’ingiusta esclusione dalla gita del Lando Buzzanca canino.
Guardo i ravoli. Apro la Fischer.
É proprio vero: Je vaux ce que je veux.

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