Il Pachà della Valle Stretta


Domenica io, S., L. M. e il magico Gromit siamo andati alla Guglia Rossa, in Valle Stretta.
Descrivere la gita sarebbe un po' arido (riarso?), e magari anche inutile, perché – diciamocelo – il percorso è un autostrada e sbagliare richiederebbe abilità di cui neppure S. dispone. Anche stavolta, gli episodi divertenti e singolari si sono sprecati. Ma non è di questo che voglio parlare.
Vorrei, solo, dirvi che la Valle Stretta è un posto bellissimo, e che consiglio chiunque andare alla Guglia Rossa in una bella giornata di sole e di tramontana; e, vi prego, abbiate pazienza per il sentiero largo e il dislivello modesto. 
Ma è colpa di qualcuno se l'hanno messa lì invece che 500 metri più in alto e qualche chilometro più in là? 

È certo, però, che le mie non sono raccomandazioni imparziali.
Questa volta, per me, la gita aveva un sapore diverso dal solito: la Valle Stretta è uno dei miei luoghi del cuore – uno di quei posti speciali come speciali sembrano le ragazze di cui ti innamori quando hai quindici anni…

Della Valle Stretta, venni a sapere per puro caso.

1981.

Una zitella torinese di mezz'età, che passava le sue vacanze in albergo da noi, mi aveva sentito discutere al telefono del campo estivo di Riparto.
Tra sigaretta e brandy bofonchiò qualcosa del tipo avete mai visto la Valle Stretta? È un bel posto ed è a due passi da Torino.
Inconsapevole, tra brandy e sigaretta, che eravamo a Camogli e non a Pinerolo.


Detto fatto, il sabato mattina si parte alle 5. Carico Nanni, e via. A S. Ilario Nanni dorme già.
Il viaggio ovviamente risente di mezzi e strade d'epoca: una 127 1050 cc. rosso mattone, scarburata di fabbrica, e tanta, ma proprio tanta statale da Torino a Bardonecchia, con frotte di TIR ansimanti sui tornantoni sopra Susa.
Dove Nanni si sveglia, ma solo per il tempo di elargire un sapido commento sulle studentesse susine (o susotte?) ferme lì, in attesa dell' autobus.
Insieme ai tornanti di Susa e alla 127 rossa, il tempo ha reso obsoleti anche i confini con i mangiarane.
A Pian del Colle ce n'era uno, ma non veniva preso troppo sul serio. Una sbarra, quasi mai abbassata, ed un casetto con dentro (ogni tanto) finanza e/o gendarmerie, probabilmente in tutt'altre faccende affaccendati, perché di chi e di cosa andasse in cerca di Camembert non interessava, chiaramente, nulla a nessuno.

 
Quatti quatti, sgusciamo oltralpe, o forse no perché lo spartiacque (sorpresa!) è in territorio cisalpino.
E così, mentre la 127 affronta saltellando la prima raffica di tornantini Nanni si sveglia, sbuffa, e, WOW!, ecco che alla testa della valle appare il malloppo dolomitico dei Serous.
È, ovviamente, amore a prima vista, tanto che – una volta arrivati alle Granges de la Vallée Étroite – decidiamo che non si poteva non fare lì il campo, e che quindi, di riffa o di raffa un posto adatto dovevamo trovarlo, e trovarlo lì.
Adocchiamo una serie di gradoni erbosi stretti tra una pietraia ed una scarpata e – sì – mettendo la cucina arrembata ad un vecchio rudere, le tende dei ragazzi nelle fasce sopra e l'alzabandiera in cima al precipizio, si potrebbe anche fare. La questione acqua è risolta su due piedi, ipotizzando la stesa di 500 metri (!) di cantabrina.

Comincia la cerca dei proprietari che vengono identificati nella persona del Pachà, ex partigiano di incerta nazionalità, con baffi e sorriso da contrabbandiere marsigliese. Il lestofante, messo davanti ad un offerta che non può rifiutare da ben 300 mila lire, ci concede subito il terreno (che, come poi scopriremo, per la maggior parte nemmeno è suo).

Mancano solo i permessi, e quindi partiamo in cerca di Monsieur Serge Santenac, assessore di Nevache che sorprendiamo, al pomeriggio, in casa, mentre sta intrattenendo l' avvenente moglie. Non se la prende, e ci dà la sua benedizione anche perché, ai cugini, della Valle Stretta (che di fatto è in Italia) non importa nulla. 

Dal canto mio, per convincere le famiglie che il posto non era troppo freddo, e quindi andava bene, cancellai con un pastello a cera la quota dalla cartina allegata alla circolare. Nessuno, ovviamente ebbe nulla da dire.

E fu così che campeggiammo in valle Stretta, con le rituali salite ad Aiguille Rouge e Thabor.
In quell' occasione si aggregarono anche un paio di famiglie di ragazzi che campeggiarono a qualche centinaio di metri da noi. Tra bottiglioni, genepy e canti di montagna nacque un'amicizia col Pachà e con il malgaro, tanto che il campeggio in Valle Stretta divenne un vero e proprio rito che per diversi anni, alimentò amicizie e leggende metropolitane come quella del cuoco camoglino trasferito a Bardonecchia che, essendo di piccola statura, per rumestare la polenta in piedi sulla cucina.

In Valle Stretta, sono poi tornato per un altro campo (da semplice cambusiere) qualche anno dopo, rendendo omaggio in forma privata a Guglia Rossa e Thabor; e, poi, per rivedere i posti con un altro reduce di quei tempi e caro amico.

Oggi, quel mondo se n'è andato.
La mia prima 127 è stata demolita; un'autostrada nuova di zecca (o quasi) ti sbarca direttamente a Bardonecchia.
La bettola dove u Sciaffin girava la polenta è sempre lercia uguale, ma è diventata una paninoteca.
Ma, quel che più conta, il confine di Pian del Colle non c'è più; e il Pachà, ovviamente, nemmeno. Immagino stia contrabbandando liquori scadenti e sigarette da un cerchio all' altro del paradiso dei furfanti.
E, d'altronde, che senso avrebbe uno come lui, oggi, che non c'è più nemmeno uno straccio di confine da passare di frodo?

Commenti

Post più popolari