In Val Germanasca: Bout du Col - Lago Verde - 13 Laghi

Avevo in mente da diverso tempo questa gita, incuriosito soprattutto dal numero dei laghi (13!) e dal fatto che la Valle Germanasca è una destinazione diversa dalle valli cuneesi e valdostane dove si va di solito.
Dopo svariate congetture, concludiamo per il pernotto a fondovalle.
Accendo il mio fidato PC, e scopro che l’offerta turistica della Val Germanasca oltre che scarsina è anche di difficile accessibilità. Avrei in mente una buona cena occitana, ma non c’è trippa per i gatti. Tento un agriturismo a Ribba, dove ovviamente nessuno risponde al telefono; altri sembrano ancora meno raggiungibili. Ripiego sul posto tappa GTA a Ghigo di Prali, che scopriamo essere collegato con un albergo.
Arriviamo alle 19.30, in paese il termometro marca 12 gradi! Ci sono solo un paio di villeggianti vistosamente intirizziti. Fortuna vuole che il posto tappa GTA sia in ristrutturazione, così ci danno allo stesso prezzo una camera d’albergo. Proprietario gentile, accoglienza buona, mangiare mangiabile. Saputo che partiremo presto ci consegnano un vassoio con il necessario per la prima colazione da portarci in camera.
Unici altri ospiti dell’ albergo i componenti di una squadra di calcio – ad occhio tutti tra gli 11 ed i 14 anni. Inutile dire che fanno un casino indemoniato sino a notte fonda.
Il colpo di grazia, pochi minuti dopo il contrappello degli emuli di Calloni. Alle 4.00 arriva sotto l’ albergo un tamarro che con l’ autoradio a tutta valvola diffonde sugli incolpevoli valligiani un lancinante assolo di chitarra elettica. Ipotizzeremo poi trattarsi di tifoso juventino in partenza per Bari.
In ogni caso, ci svegliamo alle 6. Colazione veloce, pisciata del cane, saliamo in macchina. Temperatura 3°.
Raggiungiamo Ribba e di lì su una sterrata località Bout du Col (1750), dove si lascia l’ auto.
A questo punto va fatta una piccola premessa tecnico-topografica.
a) La sola carta decente della zona è quella che ho comprato in albergo, al prezzo di 9.90€. Scartate a priori per inaffidabilità i tremendi 50.000 IGC, ho scoperto con stupore che anche la carta nr 9 di Alpi senza frontiere non riporta un bel nulla: ci sono solo i due sentieri marcati GTA e null’ altro, neppure le sterrate più evidenti! Peggio ancora la cartina del GPS della Garmin su cui, per non sbagliare, hanno tolto anche quelli così almeno capisci che è meglio andare altrove.
b) I segnavia sono in condizioni pessime. In teoria c’è una segnaletica con tanto di cartelli e frecce, ma non c’è manutenzione. Il top sono i segnavia rotanti. Come alla ruota della fortuna, impugni il palo e fai girare: se hai fortuna la freccia si ferma nella direzione giusta, altrimenti sono affari tuoi.
c) I sentieri invece sono bellissimi: tutto il percorso dal Lago Verde ai 13 Laghi si svolge su ex mulattiere militari che salvo brevi tratti hanno sempre pendenze modeste ed un ottimo fondo.
Alle 6.45 cominciamo a salire verso il Rif. Lago Verde. Tempo segnalato 2.35’.
Il percorso segue una strada sterrata (segnavia 208) fatta evidentemente più per fuoristrada che per gli escursionisti , visto che va su piuttosto dritta.
Ci sono due-tre bivi che non creano dubbi. Il solo nasce quando la stradella sembra perdersi in una radura, in realtà prosegue a destra, scende per un breve tratto e traccheggiando un po’ in pano raggiunge alcuni ruderi di edifici probabilmente ex militari (loc. Freibougio), per poi svoltare quasi a 90° a sinistra e riprendere a salire più seccamente

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fino a sbucare in una zona più aperta di pascoli (Founzet – bivio per il Col d’ Abries)

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Il segnavia abbandona quindi la strada per salire più direttamente al rifugio, del quale si comincia a vedere la bandiera.
Arrivati al rifugio (2583) alle 9.15. Accumulati i primi 850 metri di dislivello.

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Per terra il fango è coperto da una crosta di ghiaccio. Evidentemente se n’è accorto anche Gromit che rinuncia al rituale tuffo nel lago.
Posto carino. Il gestore sta cambiando la bombola del gas, c’è una bella puzza a rovinare la sosta.
A questo punto inizia la traversata sino alla conca dei 13 laghi. L’ indicazione del CAI dice ore 4.30 alla seggiovia. Ai soliti (radi) segnavia, di qui in avanti si affiancano una serie scritte di vernice gialla che ci intimano piuttosto perentoriamente la direzione da seguire per arrivare agli impianti. Il tutto ovviamente ben sbiadito e piuttosto discontinuo.
Alle spalle del rifugio si vede chiaramente la prossima meta: il colle della Gran Guglia che è la Cima Coppi del nostro giro, essendo quotato ben 2780 metri. Per arrivarci, il sentiero fa finta di nulla per una decina di minuti, poi sembra rendersi conto che bisogna arrivare sin sulla spalla ed allora decide di tirare su dritto praticamente per la massima pendenza. Come Bonatti, rimpiango le bombole.
Grazie a Dio non fa caldo ed è forse questo che mi evita il collasso cardiocircolatorio. L’ aria frizzante però nulla può per le mie malconce giunture che cominciano a scricchiolare. Di qui in avanti camminerò roso dal dubbio se siano meglio i crampi in salita o il mal di ginocchia in discesa. Di pianura, ovviamente, non se ne parla.
Vista la salita non oso pensare a cosa potremmo trovare dall’ altro lato. Invece no.

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Un sentiero dal fondo perfetto, opera militare, disegna una serie di pigri tornanti che ci scaricano sul fondo di una vallecola, dove tentiamo la sorte col diabolico palo girevole. Vista l’ incertezza dell’ esito, mi affido al GPS che mi fa incocciare un solitario segnavia semicancellato e piazzato in apparenza del tutto a caso.
Scegliamo così la giusta traccia che per un po’ scende dolcemente per gradevoli praterie (Piani di S.Giacomo).

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L’ incantesimo è frantumato quando, superato il ciglio di un vallone, appare il Passo di Brard.

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La traccia non può traversare in quota a causa delle forre che solcano il pendio, ed è così costretta ad una brusca discesa dopo la quale ci troviamo a poco più di 2300 metri. La mulattiera riprende quota con alcuni tornanti, poi attraversa il pendio di pietrame sino ad un bivio poco sotto il colle. Una ginormica freccia gialla ci dissuade dalla scelta più logica (svolta a destra per raggiungere il valico), rammentandoci l’ imperativo categorico di procedere verso la seggiovia e quindi di proseguire a mancina. Si continua a salire con qualche tornante, senza eccessive pendenze, sino a superare la spalla oltre la quale la mulattiera passa sul versante Pellice

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Si fa un traverso a mezza costa, per poi prendere ancora quota sino a quello che, con l' ausilio del GPS immagino essere l' alquanto misterioso Passo Dar Loup (2549 m., residuo di truna).
Spuntano le nubi, e quindi decidiamo di approfittare del freddo per fermarci a buttare giù qualcosa. Divido fraternamente con Gromit un po’ di parmigiano (gli piace) e qualche granetto (li schifa, puntando al bersaglio grosso, ma non cedo).
Io intanto comincio a far di conto.
La mia guida, un vecchissimo Berutto del 1981, accusa 499 metri di dislivello dal rifugio ai 13 laghi. 200 se ne sono andati subito per risalire al Colle della Gran Guglia, 200 per il colle Dar Loup… ne restano solo 100!
Speranzoso ma scettico (ed ignaro di quel che m'aspetta) rimetto in moto le mie povere gambe.

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Breve discesa, altro traverso per arrivare sostanzialmente in piano al Passo Giulian (2457 m.).
Cominciamo a fiutare aria di traguardo.

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Torniamo sul versante Germanasca e perdiamo una cinquantina di metri grazie a qualche tornante sapientemente disegnato dai nostri alpini.
La mulattiera militare comincia un traverso verso destra, si abbassa con alcuni tornanti fino ad attraversare la testata di un valloncello con un bellissimo tracciato sopraelevato che supera una pietraia (2340 m.). Ruderi di un gias.

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L’ ultimo sforzo (mi credo io) è una rampa decisamente ripida e resa ostica dal sole delle 14, con annessi miraggi di scollinamento regolarmente disattesi. Strisciando quasi come un novello Gollum supero finalmente la Costa Belvedere ad una quota di circa 2440 metri.

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Si svolta a destra imboccando la conca dei 13 laghi, dove appaiono diversi edifici anche di grandi dimensioni (ricoveri Perrucchetti). Qui il sentiero diventa una vera e propria opera ingegneristica: si scende su tornanti letteralmente che poggiano su muri in pietra alti anche un paio di metri e si raggiunge infine l’ emissario del lago la Drajo (2378).
Merenderos ovunque.
Un nordico con figlia mi chiede in francese di fotografarli, se possibile senza Gromit ma con la madre che sta arrivando. Converso amabilmente nella lingua del Camembert, mentre il Prof. si inserice con il suo non meno fluente albionico.
A quel punto dobbiamo risolvere il problema della macchina, che se ne sta pacificamente posteggiata a Bout du Col. Decidiamo di dividerci. Il Prof. e Gromit scenderanno a piedi. Il sottoscritto, libero da impegni canini scenderà con la seggiovia. Una volta giù, un banale autostop sino a Bout du Col garantirà un pronto recupero di auto, amico e retriever e… voilà, les jeux sont faits: birrona e tutti a casa a vedersi la partita.
Grato al destino che ha affrancato le mie sconquassate articolazioni dall’ onere di quasi 1000 metri di discesa, mi mimetizzo tra i merenderos agostani con suocera al seguito e, tanto per non raffreddare i muscoli, mi sparo 150 metri di dislivello in salita per raggiungere a quota 2540 la stazione di arrivo della seggiovia. Se non sbaglio il conto è arrivato a 1500 metri (850 al rifugio, 500 ai laghetti e 150 agli impianti).
La discesa è infinita.
Arrivato giù cerco di capire se ci sia un modo ragionevole per superare i 3 km e mezzo e 270 metri di dislivello che separano la partenza degli impianti da Bout du Col.
Alla cassa della seggiovia una baffuta energumena ed una sua non meno mascolina collega mi assicurano che a prali la parola taxi non sanno che voglia dire. Nemmeno un abusivo, niente.
Capita l’ aria accantono i progetti di gloria e punto all’ autostop. Non ho grosse esigenze, mi accontenterei anche di una Prinz scarburata o, che ne so, di una Duna diesel. Zero.
Ciabatto sino a Ribba.
Zero.
A quel punto mi rassegno, e comincio a trascinarmi lentamente su per la sterrata, tra le nubi di polvere create dai pneumatici da TIR dei SUV carichi di merenderos che divallano.
Comincio, come Messner, a vedere un doppio me stesso che, qualche metro più avanti mi incita a raggiungerlo.
Alla fine arrivo alla Zafira. Il conto è diventato di 1770 metri di dislivello, ho battuto senz’ altro il mio personale.
Mentre mi scolo una mezza minerale bollente e sgasata dimenticata a bordo dai miei figli la settimana scorsa mi rendo conto che in tutto ‘sto bel giro siamo riusciti a non salire in cima ad un bel niente, nemmeno su una cimetta piccina picciò, insignificante, nemmeno su un mucchietto di sfasciumi appena un po’ più alto di un colle.
E’ un record di idiozia! Quasi 1800 metri di dislivello per non salire in cima ad un c#**o di niente!!!!
E, ovviamente, a casa, nessuna birra in frigo.

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